IO SONO L’ABISSO – Donato Carrisi
Un netturbino dall’oscuro passato salva una ragazza che tenta il suicidio annegandosi in un lago, non sarà l’ultima volta che egli la salverà quasi come se quel gesto li avesse legati a doppio filo, nel frattempo un’attenta cacciatrice è alla ricerca della verità circa il presunto suicidio di una donna sola.
Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio, Donato Carrisi è tra gli scrittori e registi italiani dal respiro più internazionale che conosciamo. Utilizza il genere solo come un tramite, perché è il linguaggio che conosce meglio, in quanto è specializzato in criminologia e scienza del comportamento. Per lui il “genere” è un modo non solo per indagare sull’essere umano e le mille sfaccettature morbose del suo animo ma è anche la sua tela, una via per esprimere al meglio la sua esigenza artistica.
Se ne La ragazza nella nebbia sollevava una discussione sul tema dell’informazione e sull’arma a doppio taglio che essa costituisce, in Io sono l’abisso si sofferma sull’abuso perpetrato a discapito delle persone fragili, prevalentemente donne, cercando di capire cosa significa essere delle vittime. In questa storia vengono analizzate tutte le possibili propaggini dell’abuso, si va dal revenge porn, all’abuso sui minori, per finire alla violenza domestica.
Per consentire una perfetta immedesimazione dello spettatore, ha avuto l’intuizione stilistica di non chiamare i protagonisti di questa storia con nomi propri, per cui abbiamo “L’uomo che pulisce”, “La ragazza dal ciuffo viola”, “La cacciatrice”.
Parlavamo del respiro internazionale delle opere di Carrisi ma anche della sua capacità di mettere a fuoco in maniera molto nitida i tratti somatici e psicologici dei suoi personaggi. Il linguaggio del corpo non è di secondaria importanza e lo si capisce persino da come tratteggia la camminata e la postura dei suoi personaggi, anche quelli apparentemente più secondari. Questa sua capacità e la sua dote di sintesi nel raccontare le storie sono la caratteristica più peculiare, che con il tempo non ha fatto altro che migliorare.
Andando avanti nel suo percorso da regista, sembra aver preso sempre più confidenza con il linguaggio cinematografico discostandosi dalla pura narrativa che ha impregnato i primi due film. Dissemina, infatti, i giusti colpi di scena nel corso della narrazione descrivendo benissimo questo villain (Gabriel Montesi) con il suo abisso di dolore, che tenta di salvare non solo la ragazza protagonista ma anche se stesso. Ottima la scelta per questo ultimo film di affidare ad attori poco in vista nel panorama cinematografico attuale i ruoli da protagonisti e radicarli in un territorio italiano ben specifico.
Purtroppo, Carrisi non perde il vizio di mettere un doppio finale alle sue storie, dando ai personaggi ulteriori connessioni non richieste. E’ come se egli cercasse una perfezione che non aggiunge nulla alle sue storie ma, anzi, spesso è proprio questa ricerca ossessiva a rovinarla. Sembra come se debba farsi perdonare un’eccessiva asciuttezza e immediatezza di linguaggio, o magari è proprio questa la sua cifra stilistica.
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