IL PAESE DELLE SPOSE INFELICI – Pippo Mezzapesa
Annalisa guarda dritta di fronte a sé, mentre candide nuvole si stagliano nella distesa azzurra del cielo e la vista si allunga oltre i confini dell’orizzonte, in uno sguardo disincantato e cieco dello stuolo di persone affollate sotto di lei. Annalisa è sulla cima di una chiesa … e decide di saltare.
Zazà è un ragazzo immerso in quel macro-cosmo tipico delle città del sud, destabilizzato dal non avere famiglia alle spalle, se non un fratello tossicodipendente e spacciatore, la cui unica possibilità di salvezza è rappresentata dal calcio. Veleno, invece, ha una solida famiglia alle spalle, non è arso da quel desiderio di essere adulto che alberga in Zazà, e vede nel calcio un diversivo dal corso della propria vita, al contrario dei genitori che vi vedono un eccessivo allontanamento dallo studio e da un percorso di vita costruito. L’amicizia tra i due nasce spontaneamente, complementare e spontanea come può essere solo un rapporto di amicizia tra adolescenti.
Il loro rapporto viene destabilizzato proprio da Annalisa, eterea figura che col suo gesto diventa simbolo di un desiderio di fuga che sembra trascinarsi geneticamente fino alle radici della regione, solo che il gesto della ragazza è liberatorio in senso estremo (sembra abbia perso il futuro sposo), mentre quello di Zazà e Veleno rappresenta una fuga dalla realtà. La pulsante sessualità dei ragazzi sospinta da una donna più grande, che sostituisce il viso della Madonna nell’immagine da baciare negli spogliatoi prima di entrare in campo, forma un cono d’ombra intorno ai coetanei, ed accarezza delicatamente una delle fasi dello sviluppo attraverso cui siamo tutti passati.
Tratto dall’omonimo romanzo di Mario Desiati, Il paese delle spose infelici rappresenta in un’assolata Puglia, il cui lento oscillare è richiamato dalle lievi onde del mare, il passaggio verso la maturità tra intricate venature che si inerpicano lungo dinamiche familiari (i genitori di Veleno o il fratello di Zazà, il mister della squadra di calcio come padre adottivo), tragedie (la malattia del padre di uno dei ragazzi e la sua, conseguente ma apparente, separazione dal gruppo), speranze (il salvataggio della ragazza, il miraggio della sfida con la squadra giovanile del Bari) e illusioni spezzate (la vittoria del nuovo signorotto alle elezioni locali, l’accoltellamento da parte di Zazà). Il tutto raccontato dalla voce di un Pippo Mezzapesa, qui al suo primo lungometraggio dopo il denso mediometraggio Pinuccio Lovero, oggettivo narratore, innamorato della propria terra quanto conscio dell’amara situazione brulicante di sofferenza e povertà. Splendidi gli attori, eccellente la colonna sonora, uno dei migliori lavori italiani del 2011 nonostante qualche sbavatura assolutamente giustificabile per un’opera prima.