IL LABIRINTO DEL FAUNO – Guillermo Del Toro
Carmen e la figlia dodicenne Ofelia raggiungono il capitano dell’esercito franchista Vidal, marito della donna e patrigno della bambina. La donna sta affrontando un parto difficile, reso ancora più penoso dalla lotta tra esercito e resistenza nella Spagna del 1944, così Ofelia oppressa anche dal rude Vidal trova rifugio in un mondo sotterraneo vigilato da un fauno, il quale la mettedi fronte a tre prove per tornare come principessa in tale regno.
Il retroterra storico della guerra franchista è un tema riaffiorante in ogni film del messicano Guillermo Del Toro sotto diverse forme e stavolta, abbandonato il banale plot orrorifico dipanato ne La spina del diavolo, il regista ci immerge in una realtà dove l’unica soluzione atta a riparare le sofferenze risulta rintanarsi in un mondo imbevuto di fantasia. In tal modo Ofelia si ritrova ad affrontare le prove assegnatele dal fauno su diversi piani del reale e del fantastico, custode di un regno ove per accedere occorre vivere le angosce del presente, per assorbirle e relegarle negli anfratti più reconditi della memoria.
Il labirinto del fauno offre una virata fantasy-storica macchiata di feroce violenza più che un film horror, una favola nerissima troppo ancorata alla sfera storica per fregiarsi di un lieto fine, un continuo annidarsi di dolori e rimpianti suggellati dal sangue innocente. Del Toro dirige con mano ferma e glaciale, la fotografia è cupa, i trucchi oscillanti tra l’effetto digitale (mai fine a se stesso) ed i costumi artigianali, gli attori sono capaci plasmando un’opera rivolta ad un pubblico sicuramente adulto, ma al quale piace cercare ogni tanto un anfratto dove potersi rannicchiare a riflettere, lontani dalla scelleratezza umana. Da non perdere.
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