I LUNGHI CAPELLI DELLA MORTE – Antonio Margheriti
Antonio Margheriti è uno dei registi più importanti del nostro panorama a partire dal dopoguerra, uno dei più coraggiosi si può dire, una specie di mestierante oggi in via d’estinzione. Capace di spaziare in più generi, si è sempre cimentato, con esiti entusiasmanti, sopratutto nell’horror e nella fantascienza.
Questa favola gotica ambientata nel medioevo oscuro è un perfetto esempio di come, attraverso atmosfere cupe, trame intricate, stregoneria e superstizione si potesse imbastire un film realmente terrificante e, ancor oggi, avvincente. Complice una storia nera che più nera non si può, dal gusto retrò con una marcata influenza proveniente dai racconti di Edgar Allan Poe, senza peraltro rinunciare a riferimenti sessuali e morbosi che trascinano lo spettatore in un vortice di passioni e di perversioni senza pari.
La storia, scritta dal bravo Ernesto Gastaldi (altro oscuro mestierante da riscoprire) e sceneggiata dallo stesso regista, è incentrata su Adele, una strega condannata al rogo in quanto accusata di aver ucciso con il suo maleficio il conte Franz. La figlia Mary cerca di intercedere per la madre con il fratello di Franz, il conte Humbold (Giuliano Raffaelli), ma questi la seduce con l’inganno e dopo la uccide. Intanto il vero autore dell’omicidio, il giovane e crudele Kurt (George Ardisson) vede crescere la figlioletta della strega nel suo castello, la giovane Elizabeth (Halina Zalewska). Innamoratisi, la costringe a sposarlo.
A un certo punto però, Mary (Barbara Steele) torna dalla tomba nelle vesti di una nobildonna di cui Humbold, prima di morire di paura, riconosce le fattezze. La donna farà innamorare di sé Kurt e con esso ordirà un intrigo per uccidere Elizabeth. Come si evince dalla sinossi, siamo di fronte ad una storia complessa, con un finale trucido e allegorico, il tutto reso più marcato da una splendida fotografia in bianco e nero, uno stuolo di attori (la Steele una spanna su tutti) in grandissima forma e un’ambientazione perfetta.
A differenza di altri prodotti che verranno, sopratutto negli anni ’70 e ’80, nel film di Margheriti c’è molta attenzione alla sceneggiatura e difatti ogni elemento si inserisce perfettamente nell’incastro, creando un gioco al terrore che regge più sulle inquietudini e sulla crudeltà dei personaggi che non sugli effettacci (peraltro interessanti per il periodo). Margheriti è abile nel seguire i personaggi attraverso corridoi e segrete oscure, da spessore ai particolari e ai personaggi, crea attenzione e la mantiene costantemente in un crescendo di rara intensità che ha reso la scuola italiana un paradiso felice, almeno per un breve lasso di tempo.