HOWL – Paul Hyett
Un treno di notte che sfreccia tra le lande inglesi si ferma, improvvisamente, nel mezzo di una foresta. Un cervo è incastrato tra le rotaie, incidente o atto volontario di qualcuno? Il conducente non ha il tempo di verificarlo, ma sono i passeggeri a scoprirlo, quando trovano il corpo devastato dalle ferite di quest’ultimo. Il buio della notte rischiarato dalla luna piena, e la notte più lunga per gli stanchi passeggeri sta per cominciare, mentre fuori riecheggia un ululato …
Il mito del licantropo ha subito diverse incarnazioni cinematografiche, alcune comico-parodistiche (Voglia di vincere), altre puramente horror (L’uomo lupo di George Waggner, 1941), alcune in salsa action (Underworld) e anche ibride horror-ironiche (Un Lupo Mannaro Americano a Londra). E’ proprio a quest’ultima creatura, diretta da John Landis, a cui occorre far riferimento, senza dimenticare la componente più splatter dal sapore vintage di Dog Soldier, per capire il sapore del film di Paul Hyett. Sangue, umorismo nero, mix di effetti speciali in digitale e protesi in lattice sono i totem a cui Howl protende, veleggiando tra momenti di raccordo in cui vengono presentati i caratteri dei protagonisti ad altri di tensione, specialmente in concomitanza delle scene con i lupi mannari entrati sui vagoni del treno.
Howl non eccelle dal punto di vista della sceneggiatura, pur non presentando tutti caratteri stereotipati, ma si avvale di un retrogusto vintage che non può che placare la fame degli aficionados degli horror anni ottanta, con una strizzatina d’occhio ai disaster movie degli anni settanta. Sicuramente l’utilizzo del solo lattice e protesi, al posto di alcuni effettacci digitali che proprio non funzionano, avrebbe aiutato a scacciare un senso di artificiosità, figlia tipica del low-budget. Piacevolmente sanguinolento.
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