HIDDEN (SKJULT) – Pal Oie
Kai (Kristoffer Joner) è costretto a tornare nel suo paese d’origine in una Norvegia tanto scarna di colori quanto ricca di ricordi e affrontare per l’ultima volta il volto della madre aguzzina, ormai ridotta ad un freddo cadavere su un altrettanto freddo tavolo d’obitorio.
Sembra ormai passato un secolo da quella notte del 14 settembre 1979 quando egli scappò dalla casa che lo teneva segregato, una prigione fatta di torture efferate. Rientrarvi dopo 19 anni passati tra orfanotrofi e famiglie in affidamento non fa altro che riaccendere in lui la paura e il ricordo. Questo è il binario lungo il quale si è sempre mossa la sua vita; ora però è arrivato il momento di affrontare le proprie paure a viso aperto e fare un po’ di luce su un passato fuligginoso, avvolto nei misteri della sua mente di fanciullo.
Lunghi silenzi dipingono il quadro disegnato da Pal Oie il regista di Skjiult (Hidden) una pellicola di buoni 96 minuti dai colori opachi ma tutt’altro che vuoti. Una sottile linea di sangue li impregna e li interlaccia tra loro come i ricordi del protagonista reso magistralmente da Kristoffer Joner. Un protagonista silenzioso, taciturno che ci ricorda che non è il numero delle battute a decretare una splendida recitazione, ma i pensieri che ci sono dietro. Senza questi dettagli, che vanno al di là del mero compitino svolto in maniera degna, il personaggio di Kai sarebbe stato il classico personaggio, arcinoto nella narrativa fumettistica, stanco e tormentato dal suo oscuro passato.
Hidden prende il via apparentemente come un classico sui fantasmi, per poi virare in maniera decisa su ben altri temi, non ultimo la psicologia di Kai. Quella notte Kai, libero dalla prigionia, attraversò incoscientemente una strada buia immersa nel bosco, nel farlo provocò lo sbandamento di un camion. Una macchina in sosta sul ciglio della strada venne presa in pieno dalla folle corsa del camion distruggendosi, con essa se ne andarono anche i genitori di un altro bimbo, Peter, scampato all’incidente per miracolo.
Peter e Kai, due bambini i cui destini sono legati tra loro da oscure catene, si guardarono, solo un attimo, il tempo necessario a Kai per comunicare a Peter con lo sguardo il suo rammarico e continuare la fuga verso la libertà. Di Peter non se ne seppe più nulla. In preda allo sconforto si gettò da quelle alture norvegesi teatro di una imponente cascata? Oppure vive ancora alla stregua di un selvaggio in quei boschi tanto tristi quanto magici?
Alla ricerca delle giuste risposte alle sue domande Kai trascorre il suo soggiorno in un albergo dove Oie approfitta della suggestiva locazione per lasciarsi andare a citazioni di film culto. C’è in particolare una scena nel bar dell’albergo che per fotografia (di Sjur Aarthun), inquadrature e clima surreale mi ha ricordato la (mitica) scena del bar dell’Overlook Hotel in Shining. Tra le chicche presenti annoveriamo anche le gigantografie del bosco e della cascata, dove si suppone Peter si sia gettato la notte dell’incidente, che campeggiano sulle pareti della stanza d’albergo dove soggiorna Kai.
Parallelamente al percorso totalmente intimistico di Kai seguiamo la vicenda di due ignari campeggiatori che, trascorsa la notte in quella casa maledetta, vengono trovati morti. Kai è uno dei principali indiziati, essendo il proprietario della casa dove è stata ritrovata la coppia di turisti e perché era li quella notte alla ricerca delle sue risposte. In certi tratti si ha la sensazione di ricevere una dose eccessiva di indizi che, più che chiarire l’enigma, distolgono l’attenzione dalla linearità della trama. Forse Hidden pecca proprio di scarsa immediatezza. C’è chi potrebbe trovare sublime tutto ciò, personalmente lo giudico un difetto e non sto parlando delle giuste pause che hanno valore come in musica, ma parlo di eccessivo sovraccarico di immagini in più momenti.
A parte questo ci si lascia piacevolmente cullare da una Norvegia poco utilizzata, nella classica filmografia di genere, come scenografia di un horror-movie, destando il ricordo di pellicole dal sapore tipicamente europeo, sensazione questa che mi mancava da anni. Altra chicca è la caccia all’uomo nei boschi da parte della polizia, diretta in maniera anticonvenzionale (non simile a quella de Il fuggitivo per intenderci), con grande enfatizzasi dello scontro uno contro uno, grazie anche a un sapiente montaggio a opera di Lars Apneseth.