FEDERICO ZAMPAGLIONE – Intervista
Il Fantasy Film Festival 2010 ha fatto da cornice alla presentazione del secondo film da regista di Federico Zampaglione: SHADOW. In quel di Orvieto io e Paolo Corridore abbiamo incontrato il regista per fare una chiacchierata il giorno dopo la visione del film. La disponibilità e simpatia del regista sono contagiose e le parole volano via rapidamente mentre si avvicina l’ora della premiazione in teatro. Buona lettura.
Giulio: Che caratteristiche ha il villain del tuo film e quanto si discosta dai soliti criminali, assassini degli altri film horror?
Federico: Il villain, per me, non è solo il cattivo del film ma, in un certo qual modo, è il film stesso. Egli ne traccia le caratteristiche, le atmosfere salienti, soprattutto in un film come questo dove il personaggio ha una forte impronta metafisica. Sono molto soddisfatto della scelta fatta, frutto di un anno di ricerche, in quanto non volevo assolutamente che questa componente surreale si perdesse nel passaggio dalla scrittura alla pellicola. Volevo evitare di proporre il classico boogeyman tipico dei film horror, volevo invece un personaggio androgino, asessuato, quasi un alieno. Mi piaceva l’idea di un cattivo che fosse al contempo una vittima e un carnefice in modo tale da destabilizzare lo spettatore che vede oscillare la propria morale tra i sentimenti di compassione e d’odio. Penso che si possa provare quasi una sorta di fascinazione nei confronti di questo efferato assassino.
Giulio: Come hai scovato Nuot Arquint, alias il boogeyman di turno?
F: Stavo navigando su un sito con un database di attori stranieri, quando ho visto la foto di Nuot Arquint. Mi ha preso un colpo, la sua espressione era talmente inquietante da farmi subito decidere di contattarlo per fissare un incontro dal vivo. E’ inutile che ti dica che dal vivo Nuot Arquint mi ha fatto ancora più impressione che in fotografia e in quel momento ho capito di aver trovato l’interprete giusto per il cattivo di SHADOW.
Paolo: Nuot Arquint aveva gia fatto altri film di genere o è stato il suo battesimo nel mondo dell’horror?
F: No, assolutamente. Aveva fatto piccole partecipazioni tipo in The Passion (di Mel Gibson n.d.r.) o Il Divo (di Paolo Sorrentino n.d.r.) comunque mai in ruoli di rilevanza, da protagonista. Infatti lui è principalmente un mimo, un ballerino. Sono stato, in questo senso, il suo talent-scout.
G: Nel tuo film hai cercato di sperimentare nuove forme di linguaggio cinematografico o hai preferito mantenerti su canali narrativi già tracciati e ben consolidati?
F: In effetti ho voluto azzardare delle novità, considerando pellicole di questo genere, specialmente nell’inserimento dell’elemento suspance durante le varie scene di tortura disseminate lungo tutto il film. Il momento chiave che insinua l’elemento pauroso non è trattato come in altri film, vi è un crescendo non verso lo splatter ma nel comprendere l’ingranaggio che genera dolore (il regista si riferisce, per esempio, alla scena durante la quale si vede Ottaviano Blitch subire una tortura senza comprendere esattamente quale essa sia sinché la telecamera non segue i fili che collegano il lettino al macchinario … ndR). Non volevo fare il classico torture-porn tipico degli ultimi horror. In effetti i film che basano tutta la loro narrazione sul mero torture-porn risultano, dopo un po’, ripetitivi e spesso scontati, e costringengono il regista a cercare di inventare torture sempre più truculente con il risultato di soddisfare solo gli amanti dello splatter. Io invece amo anche il cinema di un certo livello, fatto di suspance, in grado di mantenere alto il livello di tensione nello spettatore. Devo dire che rischiare a volte paga, infatti all’estero è stata molto apprezzata questa linea narrativa discostante dalle normali dinamiche del torture-porn.
P: Quindi il tuo tentativo è stato quello di riscoprire più che altro la paura che un film dell’orrore può generare nello spettatore piuttosto che il semplice sentimento di disgusto.
F: Assolutamente, si. Non credo che la sensazione di disgusto sia legata alla paura anzi trovo che sia il contrario. Più informazioni visive si danno allo spettatore e meno si riesce a insinuare quella sensazione di paura o minaccia incombente. Ne parlavo proprio ieri con Dario Argento (presente al festival n.d.R.) d’accordo con me sul fatto che la paura è fatta anche di quello che non vedi. Ad esempio una porta aperta al di là della quale si captano solo pochi rumori difficilmente decifrabili o altre cose simili. Invece da un po’ di anni a questa parte sembra che per far paura, in un film, si debbano necessariamente sbudellare un numero interminabile di persone. Trovo che sia molto più difficile lavorare sulla suspance, lavorare in sottrazione, piuttosto che condire un film con innumerevoli effetti speciali ridondanti che non aggiungono nulla di nuovo alla storia. Io voglio che lo spettatore si arrenda a se stesso e fino all’ultimo non capisca dove il film voglia andare a parare, mi piace vederelo soggiogato nella fitta trama tessuta da narrazione e psicologia dei personaggi. Le cose banalmente evidenti non mi piacciono.
G: Dei registi oltreoceano chi apprezzi maggiormente?
F: Mah! Rob Zombie è sicuramente uno dei miei preferiti, anche se vorrei che tornasse a realizzare opere inedite, non solo remake di grandi classici come Halloween. Devo ammettere che non deve essere stato facile tentare di portare elementi di novità in una pellicola blasonata come quella. Penso che l’horror in generale risenta un po’ di questo problema: la mancanza di idee. Si fa veramente fatica a trovare storie, soluzioni registiche veramente originali. Lo dimostra il fatto che negli States non si fa altro che sfornare remake, Nightmare ne è un ultimo esempio.
P: A questo proposito secondo te dove sta puntando l’horror e quale pensi sia la nuova frontiera di questo genere cinematografico?
F: Devo riscontrare con piacere che il genere horror sta ritornando in Europa e che rispetto al mercato americano sembra fornire elementi narrativi discordanti dal classico film pop-corn, pieno di effettazzi speciali ma fondamentalmente vuoti di contenuto. Il panorama indipendente nostrano, in questo senso, è molto interessante anche perché puoi trovarvi registi capaci di creare film basati più su una narrazione di buon livello piuttosto che sullo sfoggio di budget altisonanti. Penso che lo spettatore si sia stancato di andare al cinema soltanto per vedere una sequela di ammazzamenti o almeno non solo quelli. Spero che la mia pellicola possa fare da apripista per il ritorno anche in Italia di questo genere o quantomeno susciti interesse da parte del pubblico, non solo degli appassionati.
[intervista sbobinata da Paolo Corridore]