END OF WATCH – David Ayer
Brian Taylor (Jake Gyllenhaal, Donnie Darko, I Segreti Di Brokeback Mountain) è un agente di polizia del dipartimento di Los Angeles. Tre cose non lo abbandonano mai: la sua divisa, il suo distintivo e il partner Mike Zavala (Michael Peña, Crash – Contatto Fisico, Shooter). Insieme pattugliano l’area South Central, una di quelle zone della metropoli dove le attività illecite pullulano ed un agente di polizia deve guardarsi le spalle anche per una semplice chiamata di routine.
Ma Taylor e Zavala sono un duo bad ass, affiatato e pronto alle insidie del lavoro, tanto da diventare eroi del reparto grazie al prode salvataggio di un’intera famiglia da un devastante incendio, che vale loro una medaglia al valore. Un eccessivo zelo, però, attira anche indesiderati riflettori: quando l’intervento dei coraggiosi agenti andrà ad ostacolare l’articolata ragnatela di un potente cartello della droga messicano, i due finiranno inesorabilmente sulla lista nera dei criminali.
L’intreccio tra la vita lavorativa e privata dei due protagonisti (che si innamorano, sposano e hanno figli suggerendo, come da copione, l’imminente piega negativa degli eventi) si rivela agli occhi dello spettatore attraverso le riprese di una videocamera che Brian – per un progetto documentaristico – porta sempre con sé, collegata a due microcamere applicate alle divise. Dunque sono principalmente le soggettive degli agenti a guidare la visione, resa fluida e comprensibile dall’ottimo lavoro del regista e sceneggiatore David Ayer; autore di Fast And Furious (manifesto del tamarro-style) che recupera la capacità introspettiva e un po’ di sobrietà dimostrate nel buon Training Day (2001) per raccontare come dietro al distintivo ci sia un cuore.
Infatti, sebbene le avventurose giornate di ronda di Taylor e Zavala siano adrenaliniche, il nucleo pulsante del film è costituito dalle sequenze di transizione, in cui gli agenti tornano uomini di casa, di famiglia, di sogni e progetti. Le loro vite, indissolubilmente unite da un’amicizia fraterna, sembrano non risentire del carico emotivo della loro professione. Fino ad una resa dei conti troppo grossa per non coinvolgere tutto e tutti. Gyllenhaal è bravo, Peña addirittura superbo, ma è l’intensa alchimia fra i due attori a stupire, trascendendo i contributi singoli e regalando al film una credibilità sovrumana che vince su tutti gli altri fattori.
Sarebbe fuorviante ed ingeneroso analizzare End Of Watch come un ritratto della professione dell’agente di polizia: gli sbirri di Ayer sono troppo adorabili e integerrimi per essere del tutto realistici, gli eventi che affrontano esasperati a fini di intrattenimento. Il film, però, si riserva un’identità gagliarda, un racconto di fratellanza, di coraggio e di imprevedibilità, che potrebbero esulare da una divisa o dalle dinamiche di “guardia e ladro”, in quartieri come South Central dove chiunque si trova nella possibilità di sparare o di calpestare il piede alla persona sbagliata. Sono i marciapiedi dove Ayer è cresciuto, quelli che vuole (e riesce a) raccontare con passione e coinvolgimento.
L’intensa conclusione della pellicola colpisce duro dalle parti emotive, consolidando una mirabile opera che è simile all’indole dei suoi due valorosi interpreti: dura ed onesta.