WHITE LIGHTNIN’ – Dominic Murphy
A sapercisi aggrappare, l’arte salva. Qualsiasi forma assuma, risponde ad uno dei bisogni interiori primari dell’essere umano, ma per alcune persone diventa qualcosa di più. Diventa un bisogno impellente, una valvola di sfogo dalle proprietà taumaturgiche, in grado di tenere a bada (per lo meno il più delle volte) i demoni che li affliggono. Non è solo un bisogno di esprimere sè stessi e di comunicare, ma un’onda anomala a cui abbandonarsi per lasciar spazzar via tutto il marcio incrostato tra le intercapedini della propria anima.
E’ questo ciò che accade al “fuorilegge danzante” Jesco White, leggenda vivente e acclamato ballerino di mountain dance, una sorta di folk tip-tap ballato a ritmo di banjo. Nel docufilm White Lightnin’ ne seguiamo la dolorosa storia, da bambino tristemente precoce che si lascia andare alla deriva approdando a sballi sempre nuovi, dalla colla alle vernici a qualsiasi cosa gli passi tra le mani ed esali fumi. Jesco entra ed esce da riformatori e manicomi fin dalla più tenera età, totalmente incapace di stare alla larga da mali che (se proprio) dovrebbero affliggere solo gli adulti. Ma certo una piccola comunità dispersa tra gli Appalachi non offre molto a un bambino che cerca qualcosa di più e che finisce per crescere troppo in fretta, passando tra droghe, povertà, depressione senza avere il tempo di gingillarsi nell’ingenuità del mondo infantile.
I genitori esasperati cercano senza successo di raddrizzarlo con i modi rudi e sbrigativi della gente pratica di montagna, finchè suo padre non decide di tirarlo fuori dai tormenti autolesionisti offrendogli una parte di sè. Come ogni padre fa col figlio, cerca di trasmettergli la sua passione. Così, dapprima controvoglia, Jesco si ritrova a saltellare in scarpe dal tacco rumoroso seguendo i passi del padre finchè, senza quasi rendersene conto, il ballo prende il sopravvento nella sua vita riuscendo in qualche modo ad addomesticare i suoi demoni. Almeno finchè il padre viene brutalmente ucciso senza apparente motivo se non il privato e nauseabondo divertimento di due spacconi ubriachi. Jesco a quel punto indossa le vecchie scarpe del padre e inizia ad esibirsi nei locali.
Ma il suo equilibrio è rimasto instabile e l’assassinio del padre è uno scossone in seguito al quale gli sarà difficile riallinearsi del tutto. Jesco rimane tendenzialmente violento e facilmente destabilizzabile, anche quando nella sua vita inaspettatamente arriva una donna decisamente più grande di lui (la Leila di Guerre Stellari) che abbandona marito e figli per seguirlo. Allora una parvenza di stabilità balugina nella sua vita, ma certe persone sono nate per bruciarsi. Non c’è arte, non c’è amore, non c’è nulla che possa trascinarli del tutto fuori da sè stessi e dalla loro egocentrica ricerca di autodistruzione.
Presentato in concorso al 7° Ravenna Nightmare Film Festival, può sembrare una presenza strana in una rassegna horror, ma non lo è poi del tutto se si gratta (neanche poi troppo) sotto la superficie. Non è horror vedere un bambino di 6 anni che passa le giornate a sballarsi sniffando qualsiasi liquido infiammabile gli passi a tiro? Non è horror vederlo vivere l’incubo del manicomio e subire le violenze di un riformatorio? Vederlo diventare adulto troppo in fretta e senza leggerezza? Forse è molto più horror di qualsiasi scena sanguinolenta possa passare sullo schermo, soprattutto se ci si ricorda che è una storia che si ripete giorno dopo giorno in qualsiasi zona degradata del mondo. Tuttavia è naturale che si crei la “polemica”, in fondo guardando un horror si vuole solo spegnere il cervello. Cosa che non succede in questo film, che è un costante pugno allo stomaco come nessuno squartamento potrebbe mai essere. Molto più violento è l’impatto di un malessere di vivere che non lascia tregua nè scampo, più di qualsiasi folle operazione chirurgica, mostro, cannibale o motosega spianata su corpi inondati di sangue.
La pellicola è un po’ lenta e indolente ma è indubbiamente un ottimo lavoro, ben girato, ben recitato, ottimamente musicato. Perfetta la scelta di un quasi costante bianco e nero che volge al seppia per poi virare di tanto in tanto in un delirante colore e che ovviamente acuisce il senso di impotenza e di oppressione, rendendo ancora più dense, stagnanti e appicicaticce le atmosfere di una periferia qualsiasi degli Stati Uniti del Sud, in cui la coscienza di Jesco rimane intrappolata. Come una mosca che si agita freneticamente per liberarsi, ma finisce solo per dilaniare le sue stesse ali.
VOTO: 8.5/10
Regia: Dominic Murphy
Sceneggiatura: Shane Smith, Eddy Moretti
Produzione: Mike Downey, Sam Taylor
Cast: Edward Hogg, Carrie Fisher, Muse Watson, Owen Campbell