VIZIO DI FORMA – Paul Thomas Anderson
Sono gli anni 70 post-Vietnam e Los Angeles è un ricettacolo di droghe, corruzione e tensioni politiche. Larry “Doc” Sportello (Joaquin Phoenix) è un investigatore privato, tossico fino al midollo e perfetto residuo hippy.
Quando la sua ex fidanzata Shasta (Katherine Waterstone) scompare insieme ad un losco e chiacchieratissimo impresario della città, Doc intraprende un’indagine privata per ritrovarla; la presenza del detective scuote e solleva i marci affari della metropoli e, quando ci scapperà anche il morto, una lunga lista di personaggi – tra cui un sadico ispettore di polizia (Josh Brolin) e una segretissima setta – busserà con prepotenza alla porta di Doc.
Paul Thomas Anderson (Boogie Nights, Magnolia) torna alla regia – a due anni dal rischiosissimo The Master – con un racconto lungo, complesso ed articolato, adattamento del romanzo Vizio Di Forma di Thomas Pynchon.
Nella sua amata California, Anderson sviscera nelle sue surreali componenti un nuovo micro-mondo a stelle e strisce: questa volta tocca agli anni settanta di Nixon, calderone di comunità hippy, poliziotti corrotti, ronde post-naziste, paradisi fiscali e chi più ne ha più ne metta.
Questo carosello di libertà e repressione, giustizia pubblica e privata, anarchia e rigore è attraversato dalle rocambolesche vicende in cui si ritrova Phoenix, assoluto e scintillante protagonista del film: il suo Doc è intenso e divertentissimo, figlio nato dalla potenziale unione fra il Dude Lebowski e una crocerossina. I suoi battibecchi, specialmente quelli con il personaggio di Brolin, diventano immediatamente cult, ma è tutto lo script che scivola liscio: centocinquanta minuti e non sentirli.
Attenzione però, perché come sempre Paul Thomas Anderson farcisce il racconto di sottotrame, riferimenti storico-politici, blitz di personaggi, complicazioni ed è facile (dis)perdersi. Vizio Di Forma vale però questa piccola fatica e il suo concentratissimo regista è bravo a tirare le fila nel bel finale che restituisce non solo chiarezza, ma anche emozione e “morale” al folle ed imbizzarrito cammino senza briglie che lo precede.
In perfetta tensione fra commedia, mistero e un tocco di pulp, il settimo film del regista di Studio City è, per restare in tema, un vero trip. E come tale, forse ne perderete per strada qualche pezzo. Ma il divertimento è assicurato. Candidato all’Oscar per sceneggiatura e costumi.