VIOLENT COP – Takeshi Kitano
Il detective della polizia Azuma indaga sull’omicidio di uno spacciatore di droga scoprendo che ne è coinvolto il suo collega e amico Iwaki vendutosi a Nito, potente boss a capo del traffico della droga. Intanto il sadico killer Kiyohiro sequestra la sorella di Azuma che viene drogata e violentata dai suoi uomini. Sospeso dall’incarico a causa dei suoi metodi brutali, Azuma, ormai solo e disilluso, porterà a termine la sua vendetta privata.
Inizialmente Takeshi Kitano avrebbe dovuto solo interpretare quella che poi di fatto è diventata la sua opera prima. Quando infatti il regista designato a dirigere Violent Cop, Kinji Fukasaku, specialista di film di yakuza, rinuncia alla regia, Kitano chiede di assumerne la direzione benché privo di esperienza. “Era una cosa che non avevo mai fatto: mi sembrava divertente tentare“, affermerà in seguito. Kitano riscrive quasi completamente la sceneggiatura e chiede ai produttori di dargli carta bianca sul set. “C’era già una sceneggiatura, ma certe cose non mi piacevano, le ho via via riscritte, tanto che alla fine non restava quasi niente della sceneggiatura originale, anche se ho lasciato il nome dello sceneggiatore“.
Il detective Azuma, sorta di Dirty Harry nipponico, è un personaggio impassibile, keatoniano, dagli improvvisi accessi di aggressività a conferirne tratti semi burleschi. Taciturno, goffo, infuriato col mondo che gli gira attorno sembra non conoscere altra forma di comunicazione che non sia la violenza con la quale si rapporta agli altri.
Certi motivi ricorrenti del cinema di Kitano sono già rintracciabili in questo suo primo film. Per esempio il racconto dai toni lirici con cui tratteggia il rapporto struggente del protagonista con la sorella ritardata; oppure l’humor derivante da situazioni e personaggi al limite del grottesco; l’azione già lenta e distesa senza concessioni a una spettacolarizzazione fine a se stessa. Insomma l’ostinazione con cui Kitano compone e gira il suo film “a modo suo” ne fanno fin da subito un autore riconoscibile e fiero della propria originalità.
Pur essendo debitore a livello tematico, per personaggi e per storia, al noir americano degli anni Settanta e Ottanta, Violent Cop ha un ritmo più squisitamente orientale fatto di tempi morti seguiti da folli esplosioni di violenza al limite del parossismo. Semmai un parente prossimo di Kitano a livello di messa in scena sembra essere il Melville di Frank Costello, faccia d’angelo [Le Samourai, 1967]. Entrambi fanno ricorso a lunghe riprese statiche in cui la fissità della macchina da presa conferisce al racconto un rigore e una solennità da tragedia classica.
Violent Cop può essere oggi considerato a tutti gli effetti un cult movie che all’epoca della sua uscita nessuno riconobbe, nemmeno il pubblico giapponese che snobbò il film liquidandolo frettolosamente come l’eccentrica prova registica di un comico di successo.