UNA SCONFINATA GIOVINEZZA – Pupi Avati
La demenza senile che inizia a colpire Lino, giornalista sportivo, porta la moglie Chicca a prendersi cura di lui in maniera quasi morbosa. Questo comportamento sembra voler acquietare quel lato della donna legato alla maternità mai esploso, in quanto i figli nella coppia non sono mai sopraggiunti.
Il salto nella memoria (che se ne và) di Pupi Avati, trova ulteriore compimento in Una sconfinata giovinezza, lavoro incostante, dettato da una straordinaria carica emotiva donata dai protagonisti, Fabrizio Bentivoglio e Francesca Neri, ma scosso da scelte registiche discutibili. Eccessivamente enfatici alcuni primi piani, sottolineati da una musica drammatica ben realizzata ma troppo strappalacrime, alcune inquadrature sembrano voler sperimentare ma in realtà infastidiscono (come quando Avati vuole marcare il senso di smarrimento di Lino), e il color seppia risulta posticcio. Solo lati negativi? Proprio no.
Valeva la pena togliersi il dente cariato immediatamente per esaltare la potenza emotiva di Una sconfinata giovinezza, toccante specialmente nei ricordi di Lino oltre che nell’ineluttabile parallelo tra la forza della memoria che si perde come una goccia d’acqua nel mare e il fisico che, di pari passo, tende ad annichilire i muscoli, lasciando tremare l’intero corpo … l’intera vita.I fratelli Nerio e Leo, il cane, sono tutti elementi che vengono da una infanzia che non c’è più ma a cui Lino sembra voler non ritornare, quanto aggrappare. Il film di Pupi Avati è, quindi, un film in cui perdersi, cercando, a differenza di Lino, di ritrovare la strada.