UN CHIEN ANDALOU – Luis Buñuel
La luna risplende nel cielo, una donna la scruta mentre è seduta, così come un uomo (il regista stesso) che le si avvicina in silenzio e le poggia una mano sul viso, tenendole spalancato l’occhio sinistro. Dall’altra mano dell’uomo spunta un rasoio ed un colpo secco recide la pupilla … squarciando il velo che annebbia la vista di chi osserva, pronto adesso ad immergersi in un surrealismo vivido quanto doloroso.
Co-sceneggiato da Salvador Dalì, Un chien Andalou è l’emblema cinematografico del surrealismo, una sorta di manifesto dove la scena del taglio dell’occhio ha avuto una tale potenza visiva da fare il giro dell’immaginario mondiale. Con un titolo derivato dalla raccolta di poesie di Buñuel, Un perro andaluz, il film si staglia come violenta contestazione ai movimenti precedenti, dadaismo in primis, suggerendo dei sottotesti contenutistici al solo alternarsi stimolante di immagini. Ma il film di Luis Buñuel non termina il proprio ciclo funzionale nella critica, ma diviene luogo di incontro di metafore e congiunzioni tematiche, dipanate in una ventina di minuti di frame dove il tempo diviene concetto astratto che abbraccia l’eterno.
Significativa anche la sequenza in cui una donna scaglia via un libro e si scorge La Merlettaia di Jan Vermeer, identificato con la situazione tipica delle donne del tempo, chiuse all’interno di quattro mura in quanto dedite alla vita familiare. Non da meno l’uomo androgino sospinto da una pulsione sessuale irrefrenabile e due preti legati, simbolicamente rappresentanti i limiti bruscamente imposti dalla Chiesa del tempo (e di oggi).
Inizialmente muto, Un chien Andalou venne musicato nel 1960 con il tema di “Tristano e Isotta” di Richard Wagner e due tango argentini. Da vedere per comprendere l’evoluzione sociale di un periodo storico straripante di tumultuosi eventi.