ULTRACORPO – Michele Pastrello
Spighe di grano che ondeggiano sospinte da una leggera brezza e si piegano sotto l’impeto della corsa di un bambino. Una voce materna lo reclama, ma prima di voltarsi verso la fonte del suono il cielo azzurro vira verso il grigio, sprofondando nel buio della notte. Cadendo nel baratro celato nel simulacro di un uomo.
Dentro una macchina una prostituta sta offrendo il solito servizio a un trentenne, Umberto (Diego Pagotto). Un rituale che sembra voler esorcizzare un disagio covato dentro sin dall’infanzia, scavato dentro un (ultra)corpo fecondo, dove la solitudine alberga e in un certo senso la compagnia di una puttana diventa appiglio … prima di precipitare. L’alito di vento che innesta la caduta lo soffia uno strano personaggio (Felice C. Ferrara), un omosessuale da cui Umberto si reca per effettuare una riparazione.
Michele Pastrello è una figura silenziosa quanto presente dell’underground italiano, un artista che da anni si affaccia sulla vetrina nazionale con lavori di non oltre 30 minuti (Nella mia mente, Nuvole, 32) cercando di farsi notare, ma che ancora non è riuscito (immeritatamente) a catturare l’attenzione di qualcuno che voglia puntare su di lui. Ed è un peccato. ULTRACORPO è qui a dimostrarlo grazie al connubio di tecnica, tematiche importanti e, specialmente, tanto cuore.
L’omofobia e la paura del diverso, messi in scena senza nascondersi dietro falsa retorica o buonismo gratuito, bensì filtrati attraverso una messa in scena horror-fantascientifica che ne metaforizza il significato. Si parte da L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel e si arriva a Cruising di William Friedkin (notare l’inquadratura iniziale mostrante il graffito “We’re everywhere”), coprendo una parabola che cita anche il Ridley Scott de Il Gladiatore (vedi la sequenza iniziale e finale, anche per le scelte di inquadratura), in un lento calare dentro la vita di un uomo profondamente solo.
Una quasi androgina figura diviene catalizzatore di paure, specialmente durante la scena onirica in cui l’omosessuale penetra dentro casa di Umberto, trasferendo il baccello (dell’omosessualità) dentro il corpo dell’altro. Un’accettazione che arriva repentina, che scatena l’ira repressa da una vita contro il malcapitato di turno, e che lo porta quindi a “deviare” dal richiamo materno. Eco di una sirena che spiana una strada decisa sin dalla nascita, l’accezione di giusto per un genitore come faro da seguire, simbolo di una società cangiante ma ancorata a pregiudizi ancora da estirpare.
Ottimamente fotografato da Mirco Sgarzi e diretto senza alcuna sbavatura da Michele Pastrello, ULTRACORPO trae forza dall’interpretazione e dalla fisionomia dei due protagonisti, vere e proprie anime più o meno (ultra)corporee che si aggirano dentro spazi angusti, come le loro anonime abitazioni. Non sempre perfetto Diego Pagotto riesce a far suo il personaggio di Umberto, specialmente attraverso lo sguardo; mentre Felice C. Ferrara si impone con un buon phisique du role, supportato dalle giuste inquadrature. Due ruoli per nulla facili. La scena finale ha un crescendo che poi in un certo senso vanifica in un fade-out; magari ci si sarebbe aspettati di più dal regista veneto, tuttavia credo sia stata una scelta voluta per non eccedere e far concentrare l’attenzione più sul nucleo tematico che sulle immagini.
ULTRACORPO non è un manifesto contro l’omofobia, è un sintetico trattato sull’umanità che sta mutando, scivolando dentro angusti loculi che rafforzano il desiderio di fuoriuscita ed emancipazione. Resta da scoprire quale sarà la forma che uscirà … dal baccello.
VOTO: 8.5/10
Regia, sceneggiatura, montaggio: Michele Pastrello
Assistente regia: Giovanna Ortica
Cast: Diego Pagotto, Felice C. Ferrara, Elisa Straforini, Dimitri Da Dalt, Guido Laurjni
Suono: Daniele Serio
Computer grafica: Alberto Vazzola
Fotografia: Mirco Sgarzi
Assistente fotografia: Fabio Martignano
Make up: Nadia Dal Sala
Durata: 29 minuti
Italia, 2010
Produzione: Michele Pastrello
Contatti
Website: www.michelepastrello.it