TRAVOLTI DALLA CICOGNA – Rémi Bezançon
“Lei mi ha spinto in un angolo, poi mi ha costretto ad andare oltre i miei limiti. Mi ha fatto confrontare con l’assoluto: l’amore, il sacrificio, la dolcezza, l’abbandono. Lei mi ha dislocato, mi ha trasformato. Perché non mi avevano avvertito? Perché non se ne parla mai?”
Travolti Dalla Cicogna (un minuto di silenzio per il titolo nostrano), adattamento del romanzo Lieto Evento della scrittrice francese Eliette Abecassis, è una sorprendente commedia amarognola dalle due facce. Caustica e pungente (un Juno adulto?), con un ritmo leggiadro e toni medio-leggeri sulle prime, diventa drammuccio vagamente scombinato e dislessico nella seconda metà.
Lo spartiacque qualitativo corrisponde all’evento su cui il film diretto da Rémi Bezançon (Love Is In The Air) si basa, vale a dire la nascita della piccola Lea che da simbolo dell’amore fra Barbara (un’adorabile Louise Bourgoin - Adele e L’Enigma Del Faraone -) e Nicolas (Pio Marmai - La Délicatesse -) si trasforma in crepa destabilizzante negli equilibri della coppia.
La nuova arrivata e le attenzioni che richiede assorbono le energie dei due genitori e stravolgono una routine che ancora mancava della “prova del fuoco”; ne ha la peggio Barbara che, logorata dalla pressione, perderà ogni tipo di sicurezza regredendo a uno stato di isterica vulnerabilità. Mentre il rapporto che riteneva il più importante – quello con Nicolas – va ad incrinarsi, Barbara recupererà di contro alcuni rapporti zoppicanti, come quello con la pittoresca madre Claire.
Il film sembra empatizzare col declino nervoso di Barbara e progressivamente perde il profilo sbarazzino e tambureggiante che filava alla perfezione tra molte citazioni cinefile (esilaranti le schermaglie a suon di titoli di dvd che i due innamorati si mostrano a vicenda per dichiararsi) e un pizzico di politically uncorrect.
Dopo la lunga sequenza dedicata al parto (evento raramente espresso così realisticamente ed intensamente su pellicola) i toni si fanno più cupi, l’umorismo tagliente evapora lasciandoci alla resa dei conti con il risvolto psicodrammatico della vicenda; troppo per le lunghe e troppo a rischio di retorica. Quest’ultima non dilaga solo per la bravura di Bezançon nel non eccedere con orpelli e di un cast della serie “noi ce lo scordiamo”. Le sbavature in zona cesarini e alcune trovate prevedibili non sono tuttavia tali da occultare quanto di buono visto in precedenza, un realismo carico d’umanità e un racconto che mette sugli scudi un modo introspettivo, sensibile e genuino col quale affrontare uno degli avvenimenti più delicati della vita umana.
Il film tocca le corde più fragili della nascita di un figlio, il mutamento fisico, l’estetica carnale, l’agitazione interiore, il rapporto viscerale madre-figlio che comincia assai prima del parto e che, probabilmente, non finisce mai. E lo fa quasi sempre bene rivoltando, a tratti, animo cuore e convenzioni.