THE POSSESSION – Ole Bornedal
Questa è la storia di una bambina di nome Emily (Natasha Calis) e della sua ossessione per un’antica e misteriosa scatola di legno che, con il passare del tempo, la conduce verso la possessione demoniaca. Em, insieme alla sorella maggiore Annah (Madison Davenport) ed al padre neodivorziato (Jeffrey Dean Morgan), in un mercatino improvvisato è da subito attratta da questa scatola senza serrature che presenta delle insolite inscrizioni, (“perché chi l’ha costruita non voleva che fosse aperta”) e che, se scossa, fa sentire la presenza di qualcosa al suo interno.
La bambina ha deciso, quella scatola deve essere sua: è amore/richiamo/ossessione/possessione a prima vista.
La vecchia proprietaria della scatola, vedendo attraverso la finestra della camera da letto in cui è relegata proprio a causa della scatola, che la bambina stringe tra le braccia la sua “vecchia conoscenza”, urlante tra le lacrime batte con forza la mano sul vetro ma angosciata, terrorizzata e impotente può solo osservare la bambina spaventata correre via stringendo a sé ancora con più forza l’oggetto dei desideri, come per proteggerlo.
In un primo momento tutto sembra scorrere normalmente, per quanto “normale” possa definirsi la nuova vita di una famiglia di divorziati: due città, due case, due camere da letto, due genitori divisi che stanno tentando di ricostruirsi una vita. Em, nonostante tutte le difficoltà, rimane una ragazzina allegra, che si batte per i diritti degli animali e che ama la sua famiglia. Eppure da quando ha acquistato quell’oggetto oscuro e misterioso qualcosa in lei è iniziato a mutare. Inizialmente si sente apatica e alienata, poi diviene sempre più asociale, aggressiva e violenta. La sua famiglia, dapprima, associa questo suo esponenziale cambiamento al recente divorzio, considerando alcuni insoliti e inaspettati eventi come una richiesta d’attenzione … ma ben presto saranno costretti a ricredersi.
Suo padre Clyde che, nonostante sia stato da sempre molto preso dalla carriera e accusato dall’ex-moglie (Kyra Sedgwick) di anteporre il lavoro alla famiglia, è il primo a intuire come nella bambina ci sia qualcosa (o qualcuno) che non va. Quello stesso padre che dimentica il saggio di danza della figlia è lo stesso uomo che per primo avverte la gravità della situazione; ha la forza di chiedere aiuto e, pur scoprendo una verità sconvolgente, non si lascia sopraffare dalle emozioni, cercando di restare forte per la sua bambina.
La madre è molto presente e non fa mancare nulla alle figlie (tra le raccomandazioni al padre spicca un “solo cibo sano, ok? Niente pizza”) ma è troppo distratta (o forse non ancora pronta per accettare la realtà dei fatti) e sottovaluta tutti i segnali, gli inquietanti eventi e i cambiamenti della sua piccola. Quando le viene sbattuta in faccia la nuda e cruda realtà (proprio come la carne cruda che la figlia di nascosto mangia come un animale), ormai la situazione è già degenerata. L’unica cosa che tutti i suoi cari possono fare è combattere insieme il Dibbuk (“demonio” in ebraico), lo spirito maligno che, secondo antichissime leggende ebraiche, è in grado di impossessarsi come un parassita, delle persone prescelte come ospiti da divorare. Queste sono solitamente dei bambini, da qui il nome demoniaco Abizu, letteralmente “ladro di bambini“. Con l’aiuto del figlio di un rabbino chassidico, Tzadok, decide di affrontare lo spirito e tentare di salvare la figlia, mentre il rabbino, insieme a tutta la comunità, prende le distanze atterriti dal demone e dalla sua prigioniera.
L’inizio di The Possession sembra quasi promettente, infatti senza troppi preamboli si raggiunge subito il climax per poi, un istante dopo, veder svanire la tensione con lunghe presentazioni dei personaggi e inutile imbastire di una storia i cui contorni sono chiari sin da subito. Considerando l’anno di uscita, non si può che enfatizzarne la banalità, la comicità involontaria e la noia di fondo. Per stupire e impressionare non basta dire che si tratta di una storia vera, che cast e crew hanno avvertito strane presenze o che sono successe cose “strane”; non basta allevare 2.000 falene direttamente nella camera in cui viene girata una delle scene più raccapriccianti (o più interessanti per gli amanti degli insetti) per rendere tutto più reale,
non basta uno spirito sconosciuto per suscitare la curiosità degli spettatori, non basta un rito esorcista yiddish (al posto del solito rito cattolico), non bastano occhi bianchi, denti che cadono, bisbigli agghiaccianti, dita che spuntano dalla gola o una Bibbia scaraventata lontano, non bastano le animalesche abbuffate notturne di carne cruda e nemmeno giochi di luce ed effetti sonori … occorrono idee e fantasia.
Prodotto da Sam Raimi e diretto dal regista danese Ole Bornedal, The Possession è un film ben girato che non aggiunge né toglie nulla ad un filone che non passa mai di moda. La sceneggiatura scritta a quattro mani da Juliet Snowden e Stiles White è a dir poco ovvia e alcune scene simil-Scary movie, non riescono a dare nuova linfa ad un tema, quello dell’esorcismo, ampiamente trattato, ma anzi talvolta lo danneggiano strappando qualche risata.
Sicuramente alcune scene, come quella in cui nel monitor della risonanza magnetica si vede il volto di Abizu, sono d’impatto ed è riuscita la fotografia algida e inquietante di Dan Laustsen, ma questo non basta a salvare The Possession dalla banalità e dalla ripetitività (pensiamo anche al nome della ragazzina uguale a quello della celebre malcapitata ne L’esorcismo di Emily Rose) e anche il finale non brilla per originalità, ricordando, per usare un eufemismo, Final Destination e Jumanji … sicuramente sono da preferire (in tutti i sensi) i tamburi ai sussurri demoniaci.
Apprezziamo lo sforzo di tutti, il talento di Natasha Calis e l’impegno dell’allevatore di falene, ci dispiace se non hanno dormito la notte a causa degli incubi (ennesima trovata pubblicitaria o lasciamo il beneficio del dubbio?) ma, naturalmente, questo non può bastare.