THE HATEFUL EIGHT – Quentin Tarantino
The Hateful Eight è l’ottavo film di Quentin Tarantino, regista poliedrico che da Pulp Fiction in poi non ha più avuto bisogno di presentazioni, collocandosi automaticamente tra le stelle dell’olimpo cinematografico. Egli affronta i generi, ma non solo, sembra quasi che li voglia stravolgere come in preda ad una febbrile voglia di realizzare più film in uno … la medesima sensazione ridestata assistendo alla visione di questa sua ottava opera.
Per l’occasione ritorna su uno dei generi a lui più caro, il western e, per realizzarlo, non solo si concede il lusso di effettuare le riprese riportando in auge la famosa Ultra Panavision 70 (formato standard di 70 mm utilizzato anni prima dell’avvento del digitale, utilizzato per realizzare molte pellicole western) ma chiama a cesellare la colonna sonora uno dei pilastri dell’epopea del western: Ennio Morricone.
Evitando qualsiasi tipo di spoiler, la trama si articola dentro la cornice di uno scenario tanto incantevole quanto pericoloso come le montagne innevate del Wyoming, dove è in corso una tempesta di neve che obbliga otto personaggi dal torbido passato ad una convivenza forzata. Tutti si ritrovano rintanati dentro l’emporio di Minnie e Sweet Dave, un posto dove si respira l’odore del legno umidiccio, dei carboni che scoppiettano nel caminetto, del caffè appena scaldato, delle vecchie coperte utilizzate per scongelare vecchie ossa scalfite dalla tormenta. In questo scenario sospeso nel tempo qualcosa non quadra, qualcuno non è quello che dichiara di essere ..
Come dichiarato da Quentin Tarantino stesso nella conferenza stampa a Roma, durante l’anteprima italiana in 70 mm, il regista statunitense ha edificato una sceneggiatura molto simile ad una piece teatrale, dove ogni personaggio interpreta un altro personaggio, raccontando se stesso al pubblico, tramite dialoghi che sembrano diretti verso l’occhio della cinepresa, accenni e giochi di sguardi. Si ha, infatti, la sensazione di essere di fronte ad un Dieci piccoli indiani in salsa pulp-western, dove i dialoghi, vera grande ossatura del film, sono studiati e calibrati per entrare sempre più in sintonia con i personaggi, in un arabesco mai noioso o banale. Non solo, pur non essendo questo un film smaccatamente politico (o se vogliamo non politicamente corretto, come può essere in parte etichettato Django Unchained), vengono toccati temi spinosi come la fine della guerra di secessione, con tanto di confronto dentro l’emporio di due visioni nettamente contrapposte e mai sopite, quella nordista del generale Sanford Smithers (Bruce Dern) contro quella sudista del Maggiore Marquis Warren (Samuel L. Jackson).
Un’altra caratteristica di Tarantino, che molto l’accosta a scrittori del calibro di Joe Lansdale, è quella di scrivere quasi “ascoltando” i suoi personaggi e le loro storie piuttosto che “ordinando” loro cosa fare in un determinato contesto, rendendo la narrazione scorrevole e mai troppo complicata. In The Hateful Eight i personaggi raccontano le proprie storie, vere o fasulle che siano, esprimono il parere su tutto quello che li riguarda e non ma, al contrario di quello che succede in sceneggiature meno accorte, ogni loro dialogo o monologo è funzionale all’espandersi della trama. Anche rituali che possono apparire banali come il prendere una buona tazza di caffè americano, mirano all’imbastimento della trama, alla costruzione dei particolari che pezzo dopo pezzo riempiono gli spazi. Così anche quella porta d’ingresso che per essere bloccata ha bisogno di essere inchiodata con due, e ribadisco due, tavolette di legno possiede il suo significato.
Immancabili sono anche le citazioni di altri film che hanno forgiato l’infanzia e la giovinezza di Tarantino, come da lui stesso dichiarato sono sempre presenti rimandi ad alcuni episodi di Bonanza, Il virginiano e Ai confini dell’Arizona, ma emergono echi di omaggi anche da altri titoli come La Cosa di John Carpenter, specialmente per l’ambiente claustrofobico di un interno condiviso da più persone tra cui si cela una minaccia, o da western “innevati” come Corvo Rosso non avrai il mio scalpo! di Jeremiah Johnson o Il grande silenzio di Sergio Corbucci.
Inutile dire che è obbligatoria la visione in formato 70 mm Ultra Panavision per godere pienamente di tutti quegli elementi visivi che, altrimenti nel formato digitale, rischiano di restare annichiliti.
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