ONLY GOD FORGIVES – Nicolas Winding Refn
Bangkok una città con circa dodici milioni di abitanti, un formicaio suddiviso in molteplici strati sociali, un dedalo di strade che interconnettono vite ed esperienze … anche le più estreme. Da sempre gli orientali riescono a stupire, non solo per la capacità di stare al passo con i tempi ma anche per l’essere saldamente legati alle loro tradizioni.
Inamovibili nei rituali, sembrano quasi perpetuarsi in un tempo infinito, specialmente se confrontato con la frenesia tipica della cinica società occidentale. Proprio questa miscela di sapori e odori diviene particolarità dell’oriente, elementi che trovano una convivenza ritmicamente caotica ma sicuramente ricca di colori e sfumature. Immerso in questa società così ben stratificata c’è Julian (Ryan Gosling), trasferitosi ormai da tempo dagli Stati Uniti per motivi legali che, insieme al fratello Billy (Tom Burke), gestisce un club di pugilato che in realtà serve per coprire un traffico di droga.
Billy in preda ad un delirio fatto di frustrazioni, droghe e alcol, violenta ed uccide barbaramente una prostituta, finendo nel mirino del veterano Chang (Vithaya Pansringarm), poliziotto che possiede un concetto molto cinico e personale di giustizia.
Nicolas Winding Refn, grazie a Drive, si è imposto nel mercato cinematografico mondiale, costringendo il grande pubblico ad adattarsi ai suoi tempi, alle attese, ai rituali, rinunciando per un attimo al classico cinema d’azione costruito sul connubio: esplosioni, muscoli e velocità. La capacità di rendere poetica la violenza e lo scorrere del sangue diviene unica tra le mani di Refn che, con Only God Forgives, ritorna alle atmosfere altisonanti e allegoriche di Valhalla Rising, dove ogni movimento vale più di mille dialoghi, dove gli occhi comunicano infinite sensazioni.
Si resta rapiti dal modo di dipingere la pellicola di Refn, in particolar modo quando affronta le frasi non dette, le immagini non mostrate, libere di scatenarsi nell’interpretazione dello spettatore. Esempio lampante è la presunta impotenza del personaggio interpretato da Gosling, impotenza rimarcata dal regista non solo nella sfera sessuale ma anche nella gestione della vita privata, tanto è vero che deve intervenire la madre Crystal (Kristin Scott Thomas) per vendicare il figlio morto Bill, in una sorta di conferimento di attributi alla figura femminile.
Questo è il cinema di Refn, o si odia o si ama. Impossibile negare il piacere trasmesso attraverso la visione di ogni singola inquadratura che si riempie di elementi visivi e astratti, dando forza e significato ad ogni singolo gesto senza adottare mastodontici movimenti di macchina, dolly o carrelli. In un prosieguo di carriera che sembra inquadrare Refn come erede, a livello tecnico, di una tradizione fatta da grandi nomi (Stanley Kubrick su tutti), attendiamo cosa saprà fare con l’adattamento televisivo di Barbarella.