MANIAC NURSES – Léon Paul De Bruy
Alcune donne vivono in una clinica dove passano le giornate cercando di soddisfare quelli che sono i loro personali ed esclusivi piaceri: sesso saffico, droga e mattanze. Sabrina (interpretata da Susanna Makay) è una ragazza strana, dolce e innocente lolita, che fantastica su alcuni fumetti (brutali), e sente la necessità di essere circondata da sentimenti violenti, spesso sconvolta da incubi notturni a cui non è capace di dare delle spiegazioni.
La povera piccola uccide con una certa ingenuità, talvolta per errore, e se ne cruccia come se in realtà le dispiacesse porre fine a un gioco sadico. Lei, come le altre donne della clinica, cercano e trovano nella violenza il puro piacere sessuale. La direttrice della clinica è Ilsa (Hajni Brown), assistita da Greta (Csilla Farago), sua complice e amante: insieme organizzano vere spedizioni di caccia, fanno saltare la testa agli uomini, si “intrattengono” torturando le loro vittime, ne aprono i corpi mangiandone alcune parti.
Il film è del 1990, conosciuto anche con il titolo di Maniac Nurses Find Extasy, è il seguito di Bloodsucking Freaks (del 1977) ed è stato dedicato a Ilona Staller, Jeff Koonz e Tracy Lords, elemento esplicativo della natura del film. Ha chiari richiami nazisti, sia nel nome delle protagoniste, sia nel modo di vestire di Greta e Ilsa, sia per i chiari richiami a film come Ilsa, la belva delle SS (horror erotico del 1975) o La tigre del sesso o Greta la donna Bestia, tuttavia è poco più che blanda l’intenzione del regista di propinarci un horror a sfondo politico, in cui le protagoniste sentono la necessità di conformare il mondo al loro modo di vivere, infatti nella sua totalità il film si presenta solo come horror -softcore.
Scritto da Harry M. Love, diretto da Léon Paul De Bruyn, il film è un po’ sconclusionato e privo di verve. Vi sono dei buoni tentativi di effetti splatter ma non sono sufficienti a dare vivacità al film e a renderne piacevole la visione. L’azione é molto lenta, le frasi laconiche e mal interpretate.
A meno di metà pellicola il tedio la fa da padrona e quando si pensa che la cosa non possa peggiorare sopraggiunge uno spogliarello lunghissimo che invece di ridestare lo spettatore lo fa sprofondare nel sonno, anche perchè coperto da una brutta spirale ipnotica. A ciò si aggiunge la presenza di un’irritante voce narrante che accompagna i gesti delle protagoniste con l’assurdo scopo di spiegare qualcosa che il regista non è stato in grado di rappresentare scenicamente.
L’unica attrattiva (per chi si accontenta di un erotismo così avvilente) è rappresentata dal fatto che le attrici hanno un kalashnikov in mano (e già questo sarebbe bastato a renderle sensuali) e indossano mini-camici da sexy infermiere, intimo di pizzo bianco, giarrettiere e via dicendo; immagini queste che, però, sfociano nel ridicolo se accostate alla pessima recitazione (approssimativa al punto che si nota il respiro di tutti quelli che dovrebbero essere morti).
La parvenza di serietà, che pur si sarebbe potuta dare a questo film, è stata poi del tutto oscurata dalla presenza di bizzare sovraimpressioni grafiche. Dapprima parole, poi la spirale che copre il tentativo di striptease e, infine, come se la voce narrante e le scene che vediamo non fossero sufficienti a farci capire quanto possono essere sadiche le protagoniste, ci troviamo a guardare una sorta di score che ne valuta il sadismo. Il film si chiude con la protagonista che si allontana sculettando nella foresta, mentre parte in sottofondo l’Inno alla Gioia.
VOTO: 4.5/10
Cast: Hajni Brown, Csilla Farago, Susanna Makay, Nicole Gyony Steve Lambion
regia: Léon Paul De Bruyn
Fotografia: Làszlo Zentai
Montaggio: Johan Vandewoestijne
Effetti speciali: Louis Vasari
Musiche: Philipp Smithe
Costumi: Andrea Brooks