MALABIMBA – Andrea Bianchi
Prodotto da uno specialista del genere, Gabriele Crisanti, il film di Andrea Bianchi si inserisce a tutti gli effetti nel filone nunsploitation, ovvero quella cerchia di film che mescolano sacro e profano e, più specificatamente, suore & sesso, un connubio che, all’epoca, garantiva un sicuro successo di botteghino.
Nel caso di Malabimba, poi, l’elemento horror riprende le tematiche protosataniche dell’Esorcista, tanto in voga dopo il successo del film di William Friedkin, sostituendo opportunamente il signore delle tenebre con una più lussuriosa presenza dell’antenata Lucrezia, donna lasciva e libidinosa che si impossessa del corpo della giovane Bimba (Katell Laennec) obbligandola a comportamenti poco consoni alla casata dei Caroli a cui appartiene.
L’azione si svolge tutta nel maniero di famiglia e inizia con una sorta di seduta spiritica con tanto di medium delirante, la suora Sofia (Mariangela Giordano) sente una presenza dentro di sé ma riesce a scacciarla, questi allora trova le tenere carni della pubescente Bimba, figlia di Andrea (Enzo Fisichella) ignara delle cose della vita, avendo da sempre vissuto al castello. La giovane comincia così a masturbarsi con tutto quello che trova, un orsacchiotto (a cui infila la candela al posto del pene), un enorme puffo di peluche, spia il padre che viene irretito dalla lussuriosa zia (Patrizia Webley), si spoglia nuda a una festa di vecchi nobilastri e finisce a praticare un blow-job allo zio paralizzato, che se la muore godendo. Alla fine riesce a farsi anche la procace suora trasferendo il malvagio spirito dentro di lei.
Nonostante la trama pervasa da elementi occulti, l’horror è ridotto ai minimi termini, preferendo il porno esplicito (anche se si narra che dette scene furono eseguite da controfigure), il che non è detto sia un male. Non saremo di fronte a un capolavoro di genere, ma il film di Bianchi mantiene le aspettative promesse cimentandosi in lunghe e patinate scene di sesso che non disdegnano particolari scabrosi. La Giordano, inoltre, è un’icona prosperosa del genere, qui decisamente al suo meglio e anche la giovane Laennec riesce a mantenere alta l’attenzione con momenti lesbo allo specchio, masturbazioni ravvicinate e uno sguardo perso tra il birichino e l’innocente. Menzione d’onore anche alla Webley (che troveremo anche in Salon Kitty), procace simil-teutonica bellezza generosa nel mostrare le sue grazie in calzamaglia. Insomma un prodotto a uso e consumo di un pubblico voyeur ma anche curato nella confezione e lineare nella sua narrazione, non annoia e fa bene alla circolazione. Cosa volere di più dalla vita e, sopratutto, da un certo tipo di cinema di genere italiano?