LIONHEART – Sheldon Lettich
Lyon Gaultier (Jean Claude Van Damme) è un legionario che viene a sapere della brutta situazione in cui è caduto il fratello, bruciato vivo e ridotto a fin di vita da un gruppo di mercanti di droga. Lyon fugge dalla legione, riesce ad imbarcarsi come fuciniere su una nave e si ritrova a New York, ancora lontano da cognata e nipote che abitano a Los Angeles. Senza un dollaro in tasca l’uomo trova nei combattimenti clandestini un modo rapido per raccogliere denaro.
Saputo della morte in ospedale del fratello, Lyon intensifica i combattimenti in modo da aiutare economicamente la famiglia dell’uomo, ma la sua lotta senza quartiere si deve fermare quando due uomini inviati dalla legione straniera si mettono sulle sue tracce.
Quando un regista fa la differenza. Sheldon Lettich è conscio della materia che si trova tra le mani sotto forma di script, capisce perfettamente che il tono melodrammatico non può che essere un condimento da utilizzare come collante tra un pugno ed un calcio, per cui inutile fomentare una linea che si merita solo di essere accennata (e accettata dallo spettatore senza eccentrici tocchi hollywoodiani) e meglio concentrarsi nell’azione. E bisogna dire che Lionheart ne ha tanta. Coreografie adeguatamente pensate, personaggi alle volte macchiette (ai limiti del caricaturale) altre interessanti nel loro background e violenza abbastanza spinta per un film rivolto ad un vasto pubblico.
Jean Claude Van Damme, in costante ascesa, si disinteressa della recitazione per focalizzarsi su sguardi truci e tante tante mazzate così care ad un certo tipo di action di fine anni ottanta, primi anni novanta. Quello che manca in Lionheart è un vero e proprio bad guy contro cui schierarsi ma possiamo perdonare questo ed altri peccatucci grazie ad un senso si sudiciume che risale dai ponti dove corpi sudati si scontrano senza esclusione di colpi.