LEVIATHAN – Andrei Zvyagintsev
In Leviathan il cinema russo ritorna prepotentemente sulla scena sia come metratura (parliamo di quasi 2 ore e mezzo di pellicola) sia per tematiche affrontate. Lo spunto del lavoro ricade nell’esperienza del regista stesso Andrei Zvyagintsev, che racconta di essere rimasto folgorato dalla tragica vicenda del suicidio di un proprietario terriero russo che, a causa di un esproprio ingiustificato da parte del comune, vede sparire la sua terra sotto gli occhi.
Una volta venuto a conoscenza della decisione da parte delle autorità competenti, il proprietario terriero si lascia andare ad una serie di atti di violenza terminati, come in un copione prestabilito, con la sua morte mediante suicidio. Quello che da secoli è la tematica centrale della letteratura russa, vale a dire l’autodistruzione, il nichilismo dei personaggi protagonisti delle vicende narrate, in Leviathan assume toni biblici. Negli scarni paesaggi circondanti il Mare di Barents la popolazione vive la propria esistenza schiacciata dall’ineluttabilità del destino, la cui coscienza appesantisce il clima respirato caricandone le gesta di tensione negativa.
C’è la dicotomia Stato-Chiesa che ritorna ossessiva quasi a rappresentare il vero Dio che dall’alto domina le vite dell’uomo schiacciandoli con il suo peso.
L’uomo, qui rappresentato dal protagonista Kolia (Alexey Serebryakov, intenso fino al midollo delle ossa), non può far altro che accettare le decisioni di alcuni speculatori che per conto del sindaco vogliono sequestrare il suo terreno duramente conquistato con anni di fatica e duro lavoro. Egli rimane impotente, inerme di fronte ad un dio feroce ed ingiusto che non divide equamente i buoni dai cattivi, i giusti dai peccatori e non distribuisce equamente punizioni e ricompense.
Già premiato per la migliore sceneggiatura a Cannes, Leviathan è scelto per rappresentare la Russia alla notte degli Oscar. Sicuramente un film per palati raffinati, che si discosta dalla frenesia e dalle luci sfavillanti dei tempi moderni, in qualche modo porta lo spettatore a quel realismo che ormai sembra scomparso dalla cinematografia occidentale.