LASCIAMI ENTRARE – Tomas Alfredson
Tratto dal best seller dello scrittore John Ajvide Lindqvist qui in veste di sceneggiatore, il film narra il rapporto che si crea tra Oskar (Kåre Hedebrant) ragazzino chiuso e introverso, amante dei fatti di cronaca nera, e Elli (Lina Leandersson) ambigua ragazzina dall’odore strano, i capelli unti e grandi occhioni che sembrano aver visto l’intero mondo. Si incontrano di sera nel parchetto sotto casa, un enorme palazzone dormitorio attorno a un paesaggio innevato che sembra eterno.
Entrambi vivono muro contro muro nel condominio e imparano a comunicare con il linguaggio morse, battendo le dita sulla parete. Ben presto però Oskar dovrà fare i conti con la vera natura di Elli che ha 12 anni da molto molto tempo, uccide per sopravvivere succhiando il sangue delle sue vittime e dormendo di giorno nella vasca da bagno del suo appartamento.
Ci voleva la Svezia e un regista come Tomas Alfredson, che tutto aveva fatto prima tranne che un horror, a rielaborare i canoni linguistici del genere per riportarli su un piano narrativo finalmente efficace. Basta scene adrenaliniche intrise di budella, basta corse impazzate, urla, botte da orbi e crudeli serial killer, dal freddo del Nord Europa è arrivato il cinema puro, che non urla ma sussurra, che parla poco ma dice tanto, fatto di piani sequenza e fotografia fredda, di personaggi normali quasi inespressivi ma che difficilmente verranno dimenticati.
Impossibile descrivere pienamente il piacere e l’ammirazione che si prova nel vedere prodotti così al cinema, lontani anni luce dalle regole del marketing che hanno partorito la sua orrenda antitesi (la giovanilistica finto horror story Twilight), veri nella loro onestà ma così intensi nella ricerca del linguaggio cinematografico al punto da trasformare un film oggettivamente “lento” (quasi VonSantiano) in un’avventura romantica e ingenuamente leggera ma piena di particolari e messaggi per la cui comprensione è necessario rivedere il film almeno un’altra volta o, in alternativa, leggere il libro.
La ricostruzione della Svezia dei primi anni ottanta è legata a pochi ma fondamentali elementi (le notizie dell’Unione Sovietica che incalza, un vecchio televisore), così come una brevissima scena rivela la vera essenza dell’ambiguità di Elli (la cicatrice sul pube che indica la sua evirazione, poichè nel romanzo la vampirella è in realtà un ragazzo). Il tutto si conclude poi mirabilmente con una formidabile sequenza nella piscina che è un vero e proprio monumento di arte cinematografica. Il film ha vinto numerosi premi tra cui un Best Narrative Feature al Tribeca Film Festival.