L’APPESO – Francesco Dominedò
Una maschera nivea rinchiusa in una lurida gabbia, un anfratto umido e sporco, strane figure che scrutano in silenzio, un’atmosfera plumbea e ammorbante, l’aria rarefatta che inietta ruggine nei polmoni, una donna che si nasconde dietro una maschera di cerone, i suoi occhi rosso vermiglio fissi lungo arcane direttrici, un corpo nudo ed inerme ancorato alla fredda pietra del soffitto, una figura … appesa.
Astratto e disturbante, un viaggio catartico che per certi versi ricorda le tematiche toccate nel primo Saw: riscoprire il succo della vita nel momento stesso in cui si sta scivolando verso la morte. Immagini astratte che tappezzano un montaggio frenetico ma ragionato, regia pulita che sa bene cosa vuole ottenere giocando tra tradizione e sperimentazione. Immagini che hanno il compito di disturbare e conturbare in un gioco continuo dove la vittima – l’appeso – non può mai parlare, prima perché ha del nastro isolante sulla bocca, dopo perché le vengono infilzate le labbra con degli aghi.
Un corpo nudo che può solo trasmettere dolore dopo che gli è stata negata la possibilità di parlare così come la possibilità di muoversi. Una vittima di un destino ignoto, nascosto beffardamente dietro la maschera della torturatrice che riceverà la carta dell’appeso come estremo simbolo di una persona che si è allontanata dal mondo (unico legame la corda che la tiene), rinunciando ad esso e quindi rinunciando alla vita. Vincitore della quinta edizione al PesarHorrorFest 2008.