LA PROMESSA DELL’ASSASSINO – David Cronenberg
Tatiana è una ragazza di origini russe che muore dando alla luce una bambina. Il suo diario viene recuperato da Anna (Naomi Watts), l’ostetrica dell’ospedale, che si fa aiutare dallo zio a tradurlo alla ricerca di un indirizzo utile a rintracciare i familiari della ragazza.
Nikolai (Viggo Mortensen) lavora ufficialmente come autista per Kirill (Vincent Cassel), il figlio di uno dei boss russi più spietati di Londra. Le loro vite si intrecciano quando il boss viene a conoscenza dell’esistenza del diario della giovane russa dove sono annotate le traumatiche esperienze, gli inganni e le violenze che le hanno strappato via la vita e che ora rischiano di fagocitare anche quella della sua bambina.
Sentendo ancora sulla pelle le ecchimosi lasciate dal precedente A history of violence ecco tornare Cronenberg con un lavoro che si affaccia sugli schermi come una mutazione della precedente, un coacervo di emozioni nate però dalla stessa carne. Le sperimentazioni sul corpo umano, le innumerevoli frammentazioni dell’essere in macchina autonoma e autodistruttiva, la simbiosi con la mostruosità e le orde di freaks lasciano il posto al noir dove la morale umana si sgretola sotto i colpi della vita reale. La paura della normalità quotidiana.
Il regista canadese pennella un film che è sintetizzabile con un solo termine: crudo. In maniera più diretta rispetto A history of violence cade ogni orpello di natura hollywoodiana, raschiando con le unghie le riprese scontate (non vedrete mai i particolari del volto di un personaggio per sottolineare la drammaticità delle scene), centellinando la colonna sonora (brevi accompagnamenti che a malapena si “scorgono”) e lasciando vertere la cinepresa solo sugli attori, vere e proprie marionette in un teatro violento e disperato.
Sono gli attori il cardine su cui ruota interamente la messa in scena: Naomi Watts appare come una donna comune ed ingenua, nascostasi in un anfratto gelido e maleodorante ma desiderosa di lottare per una vita appena apparsa al mondo; Viggo Mortensen rappresenta il corso della sua esistenza con i tatuaggi sul corpo, emblemi di coraggio e (im)moralità, semplicemente glaciale; Vincent Cassel indossa i panni del buffone viziato ma dal cuore (a volte) tenero.
Non manca la violenza visiva sin dall’iniziale maldestro sgozzamento che corona nella scena di lotta nella sauna dove ogni singolo rumore o grugnito contribuisce ad un balzo del livello di adrenalina, in un climax ad altissima tensione.
Eastern promises è un noir minimalista che lascia l’amaro in bocca a chi si aspetta un lavoro dalle tinte hollywoodiane (Black Dahlia di Brian De Palma giusto per citare uno dei contemporanei) proprio per il suo voler intagliare la materia sino al nocciolo, desistendo da facili lusinghe (nonostante il cast composto da volti noti) e abbracciando un’idea di cinema estraneo, inusuale e per questo non facilmente digeribile.
Una critica che facilmente gli si può muovere sta nella banalità del plot che, sebbene allineato alla forma che ingloba l’idea di base, avrebbe potuto assorbire ulteriori influenze (non abbellimenti) ed evolversi ulteriormente. Se avete amato A history of violence questa è una tappa obbligatoria, se seguite Cronenberg dagli esordi anche, la mutazione è in corso.