LA MALEDIZIONE DEI TEMPLARI MORTI VIVENTI – Giorgio Credaro
Una leggenda non vera (come ci tiene a sottolineare lo pseudo esperto che, in apertura di cortometraggio, introduce la storia) racconta di un guerriero che sconfisse templari-zombie. Questo è il pretesto narrativo con cui la (fittizia) casa di produzione e distribuzione Doppia G imbastisce un gioco di rimandi riferibili, soprattutto, alla cultura fumettistica e cartoonistica asiatica ma, anche, a modelli più alti di cinema.
Da Amando De Ossorio, ovviamente, da cui vengono parafrasati i titoli (potrebbe tranquillamente essere un episodio della saga dei Templari resuscitati ciechi) sino a Takashi Miike, passando dal maestro del cinema zombesco, George A. Romero. Merito (oltreché fiducia) va dato a questo gruppo di ragazzi che mescolano con abilità questa overdose citazionistica, senza far risultare La maledizione dei templari morti viventi come un boccone troppo indigesto. Vi è, inoltre, un certo gusto registico, in grado di regalare inquadrature di un certo valore condite da effetti speciali improbabili ma divertentissimi. Ovviamente sono riscontrabili dei difetti: gli attori non sono credibili neppur per mezzo secondo e le ambientazioni tradiscono una povertà che da più l’impressione di trovarsi di fronte ad una scampagnata in abiti carnevaleschi che ad un prodotto che vorrebbe tendere al cinematografico.
Ma sono tutte manchevolezze che appartengono ad un certo modo, ancora beatamente ingenuo (in realtà, per chi scrive, il migliore possibile), di dichiarare il proprio amore per il cinema come gioco bambinesco in cui divertirsi a “costruire” un personaggio, in una dinamica narrativa che prevale su tutto il resto. Verrebbe da ricordargli (la Doppia G ci ha regalato perle come il “rifacimento” muto de La Casa di Raimi e la parodia di Saw) che il gioco è bello se dura poco, ma sarebbe come togliere il pallone a dei bambini e dirgli che il calcio “vero” è solo quello fatto di droga, soldi, escort e scommesse.