LA DOLCE MANO DELLA ROSA BIANCA – Davide Melini
Una serata in cui sembra crollarti il mondo addosso, durante la quale la mente e l’anima pulsano per portare il corpo all’estremo, tentare di trovare un valvola di sfogo da girare per allentare la tensione. Salire su un’auto dopo una notte come questa può sembrare l’unico viatico per depressurizzarsi, l’unico modo di reagire.
In una mattinata splendente, con il sole che filtra tra l’acciaio delle strutture portanti dei giochi di un parco immerso nel verde, una bambina corre e si diverte spensieratamente, come solo i bambini riescono ancora a fare. Arrivato il momento di tornare a casa non resta che inforcare la bici e lanciarsi in una strada deserta. Apparentemente. Una curva, la velocità, quel fugace attimo che sigilla i respiri dell’essere umano in una dimensione atemporale e tutto diventa nero. I destini di due persone destinati a incontrarsi e scontrarsi.
È una storia semplice quella narrata da Davide Melini, regista già presente con THE PUZZLE, una storia che affonda le mani nella quotidianità e raccoglie quanto ci si rifiuta di voler osservare, una storia dove le luci artificiali del dolore rischiarano due vite. Questo diventa al contempo pregio e difetto di un film dove la sobrietà della messa in scena lascia filare via le inquadrature piacevolmente e con interesse, ma dove manca del tutto un guizzo creativo capace di far compiere il balzo di qualità necessario. Risulta chiaro sin dall’inizio il colpo di scena finale e tutto si ripercuote su una struttura che si gioca tutto in una manciata di minuti (15 circa) e che dovrebbe fare del finale l’elemento di presa destabilizzante dell’azione.
La regia e il montaggio sono fluidi e funzionali alla storia, Melini non vuole strafare e si mette al servizio della storia, compiendo così la scelta migliore. La macchina da presa osserva le anime erranti con un occhio distaccato, da angolazioni particolari e l’uso della steadycam supporta un reparto tecnico ben oleato e frizzante. Il cast vede Carlos Bahos e Natasha Machuca ben destreggiarsi sulla scena risultando credibili e rendendo vividi i personaggi impersonati. La discesa (o ascesa?) drammatica viene eloquentemente mostrata grazie anche ad un uso dei colori sapiente (il bianco e nero vividi, i fiori nel cimitero, la maglietta e le scarpette rosse della bimba) contribuendo a far passare il messaggio de LA DOLCE MANO DELLA ROSA BIANCA.
Possiamo e dobbiamo aspettarci (e pretendere) da Davide Melini un lavoro non più maturo, dato che questo elemento non manca, ma sostenuto da una trama più robusta e avvincente, anche nella sua semplicità. Il regista ha tutte le carte in regola per fare bene.