KINGSMAN: SECRET SERVICE – Matthew Vaughn
Sicuramente non sarò il primo a definirlo in questo modo ma Kingsman, quinto film del regista londinese Matthew Vaughn (Kick-Ass, X-Men – L’Inizio), è davvero la cosa più vicina all’agognato mash-up “James Bond + Quentin Tarantino”. Il sogno di tutti noi, del resto: una spy-story dal fascino brit dove ogni tanto fa incursione l’eccesso sanguinario e scenografico della violenza pulp.
Questo – ma non solo – è Kingsman: Secret Service, il racconto di come il giovane teppistello Eggsy (Taron Egerton) viene trasformato da misfit senza futuro a letale agente segreto al servizio del Regno Unito.
La “Kingsman” è un’organizzazione di spionaggio top secret nella quale militava – e per la quale si è sacrificato – il defunto papà di Eggsy: sotto la protezione paterna del nobile Galahad (Colin Firth) e superando l’estremo addestramento di Merlino (Mark Strong), la tradizione si tramanderà di padre in figlio. Eggsy diventa così il nuovo virgulto della Kingsman appena in tempo per ostacolare il diabolico e vaticinante piano criminale di Valentine (Samuel L. Jackson), talmente megalomane da mettere a repentaglio la sopravvivenza dell’intera umanità. Ma può un ragazzino di quartiere diventare un glaciale 007 senza dimostrare qualche debolezza?
“Un uomo è definito dai suoi modi”, dice compassatamente Galahad prima di fare una carneficina in un pub. E se è così, un film è definito innanzitutto dal suo stile. Così, Kingsman rischia di essere ricordato più per le sue situazioni esilaranti ed estreme che per l’essenza del racconto. Il vestito del film (in netto contrasto con quello inamidato degli agenti Kingsman) è esagerato, talvolta kitsch e volutamente sopra le righe, ma funzionale e ben amalgamato alla narrazione. Dietro ai combattimenti à la Matrix, alle mutilazioni, alle teste che esplodono e molti momenti ammiccanti (formula vincente di Kick-Ass, sempre firmato Vaughn) c’è un solido racconto di spionaggio che, perlopiù ironicamente, richiama dinamiche e atmosfere made in Fleming. Così, con un colpo al cerchio ed uno alla botte, il regista riesce a mescolare il lato classy della sua Inghilterra con tutto il meglio dell’action a stelle e strisce.
Laddove il realismo viene clamorosamente meno, come quando il villain stralunato offre un Big Mac al suo nobile commensale, e una Principessa offre sesso anale al giovane protagonista (gag costata assurde accuse sessiste), tutto è lecito. Perché la regia di Vaughn è portentosa, il ritmo del film indiavolato (sfido chi guarda a rendersi conto della durata di oltre due ore), gli interpreti perfettamente a loro agio; soprattutto Firth, commovente e sagace in egual misura. Persino il percorso di crescita di Eggsy, telefonatissimo e scontato nell’happy ending, non perde un colpo e non è mai stucchevole. Con una colonna sonora che esalta i momenti-culto (e sono molti) ciliegina sulla torta di una storia che potrebbe far impazzire non solo le giovani generazioni, ma anche qualche attempato amante della spy-story classica.
Del resto, il cinema – come tutte le arti – dev’essere evoluzione: e allora perché non godersi appieno una storia con la battuta pronta, proprio come quella che l’eroe rivolge al bad guy alla fine di ogni film che si rispetti? Kingsman è originale, sperimentale e maledettamente divertente: uno dei cult dell’anno.