JAGTEN – Thomas Vinterberg
Era il 1995 quando Lars Von Trier e Thomas Vinterberg, avanguardistici registi danesi, stilarono il manifesto del loro “Dogma 95” (informalmente ribattezzato Voto di Castità), movimento cinematografico che essenzialmente ripudiava l’uso di effetti speciali, preziosismi tecnici e budget massicci, puntando su un cinema scarno, realistico e senza il minimo lustrino.
Il primo film “dogmatico” fu proprio a firma di Vinterberg che con Festen – Festa In Famiglia (1998) stregò il Festival di Cannes raccontando in maniera cruda e disarmante il più tragico e disfunzionale compleanno in famiglia della storia. Quattordici anni dopo, la Croisette riaccoglie il regista con un nuovo lavoro, non più ispirato dai dettami del Dogma, finito di esistere di fatto nel 2005.
Jagten (La caccia) affronta il tema della pedofilia attraverso le vicende di Lucas (Mads Mikkelsen, Casino Royale, Scontro Tra Titani), maestro di asilo di un micropaesino nel nulla danese. Fidato tutore e rispettato cittadino prima, perseguitato e torturato poi, da quando la piccola Klara confida alla direttrice dell’istituto di essere stata molestata dal suo insegnante preferito. Verità non è, ma ai paesani pare tutto plausibile, una bambina così innocente non può essersi inventata tutto; comincia così la “caccia” (all’uomo) del titolo, speculare a quella che Lucas operava negli ampi boschi circostanti, e altrettanto barbara.
In un’escalation di ostilità, il paese mette Lucas e la sua famiglia in ginocchio, in una moderna caccia alle streghe dove la giustizia non passa dai tribunali ma è direttamente somministrata dall’inferocita comunità. Il film è uno dei migliori della rassegna ma anche uno dei più delicati: è un dramma tesissimo, senza evasione, che riprende un tema forse un po’ logoro trattandolo però con tutte le dovizie e analizzandolo attraverso le lenti di una provincia dove le routinarie malelingue possono diventare una condanna, soprattutto per chi da esse non riesce a difendersi. Così è il personaggio di Lucas, meravigliosa miscela di umanità, tenerezza e disperazione e magistralmente interpretato da Mikkelsen (sacrosanto premio come migliore attore a Cannes); se l’empatia di chi guarda è tutta per lui, è altresì interessante il ritratto delle figure un tempo vicine a Lucas (i genitori di Klara, i colleghi) ed ora costrette a prenderne le distanze, metafore ambulanti del “dubbio”.
Con o senza dogmi, Vinterberg è un regista incredibilmente abile ed attento alla dimensione emotiva, sa colpire lì, senza retorica e con picchi di crudeltà che diventano iconici; così come la xenofobica canzoncina di Festen valse più di mille colpi di coltello, in Jagten un paio di manifestazioni di odio nei confronti di Lucas colpiscono e scomodano più di una maratona di film horror. La parabola discendente della vita di Lucas – parallela a quella dei suoi persecutori, impropri giustizieri – è il ritratto di un microcosmo comunitario pronto a impugnare le torce infiammate dalla paura, dal sospetto e dalla paranoia. Cose che solo il passo cinico e gelido della camera di Vinterberg potrebbe raccontare così vividamente.