Esiste una differenza tra il film di Natale e il film Panettone? – Intervista a MASSIMO BOLDI
Puntuali come le luminarie e l’oscena canzone di Mariah Carey, ecco giungere in sala la rassegna di commedie italiane più o meno natalizie. Through The Black Hole, invitato all’anteprima stampa di Ma Tu Di Che Segno Sei? di Neri Parenti, ha provato a ragionare sullo stato delle cose, sulla possibilità di fare un distinguo fra cinenatale e cinepanettone, e ha incontrato Massimo Boldi, icona della comicità più o meno trash delle ultime tre decadi.
Il film, prodotto da Maria Grazia Cucinotta, esplora le piccole manie e superstizioni del Belpaese attraverso il rapporto degli italiani con l’oroscopo. Lo fa con una comicità talvolta più delicata rispetto alla media, rinunciando alla risata sguaiata e affidando la leadership al bravo Gigi Proietti, ma cascando in altri momenti nel classico canovaccio panettoniano, soprattutto quando gli interpreti diventano più “televisivi” (le Iene Pio e Amedeo) o più stereotipati (il geloso carabiniere Salemme).
Siamo quindi di nuovo alla mercè della logica del “Natale a …”, o c’è qualcosina di più?
La risposta non può che giungere da Boldi, interprete di capolavori della golden age della commedia italiana anni ’80, così come dei film recenti che ne hanno segnato per certi versi la deriva. E la risposta, va da sé, è in realtà una non-risposta. Sotto la cupola di una commedia innocua che prova a distaccarsi – gliene va dato atto – dalla becera consuetudine della recente tradizione, il film di Parenti non trova tuttavia una formula alternativa per mettere alla berlina qualcuno o qualcosa. E sui titoli di coda, la gratitudine per l’assenza di rutti e scoregge a profusione è controbilanciata dalla sensazione di un film anonimo, dove le poche risate giungono (per l’appunto) dalle collaudate gag di attori sopra la media come Proietti e il caro vecchio Cipollino.
“Boldi Massimo, di Luino. Piacere.”
Si presenta così il protagonista di trent’anni di commedia italiana. Piacere, lo so, e non è solo per le comuni origini varesotte di chi scrive. Boldi è uno dei miei miti d’infanzia, e così un po’ lo coccolo prima di arrivare al sodo.
TTBH: Il personaggio che interpreti, Carlo Rabagliati, è un igienista ossessionato dall’idea che germi e malattie possano colpirlo. Così, si fa ricoverare in ospedale, anche se questa mossa gli si ritorcerà contro. Quanto c’è di te in Carlo?
Massimo Boldi: Tanto, sono io stesso molto fissato con questi aspetti. Sono io stesso ipocondriaco. Abbiamo giocato su questo aspetto della mia personalità, che peraltro se ben ricordo non ho mai esplicitato in scena.
Il tuo episodio tenta di raccontare tematiche serie, fra le pieghe della comicità, o sbaglio?
Esatto, racconta i pericoli della malasanità, le priorità di cura dettate da elementi “elitari” come il pagamento di ticket costosi o l’amicizia con qualche medico… E’ una disavventura ospedaliera, ahimè, pericolosamente simile a episodi di cronaca recenti. Abbiamo cercato di far ridere, ma anche di trasmettere una specie di denuncia.
Se Carlo è molto simile a te per l’attenzione rispetto l’igiene, viene automatico chiederti: lo è anche dal punto di vista della fiducia negli oroscopi? Qual è il tuo rapporto con l’astrologia?
Io credo di avere un rapporto piuttosto equilibrato con gli oroscopi: li leggo, ma non ne subisco una particolare influenza. Inoltre, penso che tutti noi lo guardiamo principalmente per avere qualche buona notizia. Nessuno vuole scoprire che sta per succedere qualcosa di brutto. Ma se leggiamo che accadrà qualcosa di bello, allora affrontiamo la giornata con una piccola rassicurazione in più, e con un umore migliore.
A proposito di piccole rassicurazioni, parliamo del cinema italiano, che è innegabilmente in crisi sotto tutti i punti di vista. Riguardo alla situazione attuale, soprattutto per quanto riguarda l’evoluzione (o involuzione, che dir si voglia) della commedia all’italiana, che pensieri hai?
Vedi, il fatto è che sono cambiati i modi in cui un giovane comico si affaccia al cinema. Molti colleghi, le cosiddette giovani promesse, sono sfacciati. Fanno successo in tv, fanno subito un film, il film incassa molti soldi. Si accontentano di un botto iniziale a cui spesso fa seguito, qualche anno dopo, il declino. Questo, come dicevo, avviene un po’ per mancanza di rispetto, di autocritica, il sentirsi già arrivati, un po’ perché si è persa la concezione di gavetta. Ti faccio un esempio: nel 1991 ero sul set con Alberto Sordi (Vacanze Di Natale ’91, regia di Enrico Oldoini, ndr), era la prima volta e non mi azzardavo a rivolgergli la parola se non dandogli del “lei”, chiedendogli scusa per il disturbo e attenzioni di questo tipo. E’ cambiato l’approccio alla professione, spesso si arriva con presunzione, impreparati e senza formazione. Fai qualcosa in tv, e diventi subito attore. Fai X-Factor e diventi cantante. Ma non è così. E questo è solo uno dei problemi. Quanto tempo abbiamo?
Non molto, e così mi viene sottratto “Cipollino” proprio nel momento in cui mi espone un interessante pensiero critico, senza finto perbenismo e che stava forse andando a pungolare uno dei nodi fondamentali della questione con cui abbiamo aperto l’articolo. Questione che rimane irrisolta, perché se l’alternativa alle pernacchie der Cipolla è la flebile commedia di questo tipo, la strada per tornare al “cult” (più o meno trash) è ancora maledettamente lunga.