IL CASO KERENES – Calin Peter Netzer
La disperata missione di Cornelia Kerenes (Luminita Gheorghiu, 4 Mesi, 3 Settimane, 2 Giorni), madre disorientata alla ricerca dell’amore che suo figlio Barbu (Bogdan Dumitrache) le nega: con un penetrante affresco del dolore, il regista rumeno Calin Peter Netzer (Maria, Medaglia D’Onore) sbanca la Berlinale 2013 e regala una lezione di cinema, affetti e psico(pato)logia familiare.
Fino a che punto si spingerebbe una madre per ricucire il logoratissimo rapporto con l’unico e turbolento figlio? Cornelia, a sua volta impulsiva ed intrattabile, farebbe di tutto: e se in tempo di pace i metodi non funzionano, ecco che un misfatto del pargolo offre alla donna la possibilità di fare lo sforzo maximo a beneficio del riavvicinamento. Barbu investe ed uccide un ragazzino, ritirandosi in uno stato di abbandono quasi catatonico. Il cuore di mamma è grande e si mobilita per evitargli la galera e restituirgli libertà. In un precario equilibrio tra ego ed altruismo, senza accorgersi che forse quella libertà è compromessa e minacciata proprio dalla sua asfissiante presenza.
L’utero diventa nel film di Netzer la vera gabbia, capace non solo di inseguire il figlio ed intrappolarlo al suo interno anche in età adulta, ma di incarnare l’impossibilità di costruire un rapporto maturo fra i due. Del resto, come dice la stessa Cornelia, “i genitori si realizzano tramite i propri figli“: il suo è un sincero e penoso materialismo materno, un egoismo travestito da amore. Non stupisce dunque che Barbu, seppur vinto dalla propria apatia, risulti assai meno patetico e perduto della madre.
Nel sontuoso lavoro di Netzer, la contemporanea società romena – in particolare le dinamiche della classe agiata – viene scandagliata attraverso la famiglia e i suoi abissi, contesto che, come afferma lo stesso regista, è di portata universale. I malcostumi vengono messi in croce in maniera spietata eppur minimalista, come nel caso della riuscitissima ed ambigua sequenza nella quale Cornelia incontra un testimone dell’incidente per convincerlo a “collaborare”.
In tutto il tragitto di pellicola, Gheorghiu e Dumitrache sono due interpreti che lasciano a bocca aperta, coordinati dal regista in un dualismo intenso e realistico. Sono chiamati a sostenere un dramma assolutistico di quasi due ore, costituito da sequenze statiche e psicoanalitiche, dove tuttavia la lentezza non si sente mai, tanto lo schermo è squarciato dalle loro vivide presenze.
E anche da una regia senza orpelli, fatta di rigorosa sostanza, nella quale nessuna sfumatura emotiva viene trascurata o alterata. Netzer tratta la sofferenza dei suoi protagonisti con cura e consapevolezza, il suo è uno stato di grazia stilistico e narrativo in grado di coinvolgere senza riserve chi guarda. In questo contesto, persino un’inattesa colonna sonora tricolore (c’è anche Nino D’Angelo, tanto per intenderci) si compenetra armoniosamente con il tessuto della trama rappresentandone un valore aggiunto. Il finale è un traguardo ed un colpo al cuore, che redime la morale traballante che Cornelia persegue per tutto il film. Se non è un capolavoro, poco ci manca.