HUMANDROID – Neill Blomkamp
Neill Blomkamp è un regista che nel tempo si è ritagliato una solida credibilità grazie a cortometraggi e lungometraggi che non solo toccano temi cari alla fantascienza, invasioni aliene o androidi, ma che mirano ad approfondire le possibili metamorfosi della società umana in relazione a questi eventi sconvolgenti.
Nella sua opera prima (District 9), Blomkamp parla della società sconvolta dalla presenza dell’alieno, del diverso, in una miscela composta da xenofobia e sottocultura malata frutto di un bombardamento mediatico irto di immagini televisive che tutto fanno fuorché informare il proprio utente. In Humandroid (noto anche come Chappie) troviamo una società completamente succube delle forze dell’ordine che, data la gravità degli interventi da eseguire, hanno preferito non sacrificare più esseri umani ma impiegare le macchine per il lavoro sporco.
La compagnia che costruisce gli androidi pronti a ristabilire l’ordine sviluppa le possibili soluzioni al problema, partendo principalmente da due punti di vista diametralmente opposti: c’è chi come il prof Vincent Moore (Hugh Jackman) pensa che ci voglia sempre una mente umana a comandare i robot e chi, come il prof Deon Wilson (Dev Patel), pensa che le macchine debbano divenire coscienti come gli esseri umani. Il primo predilige gli allestimenti pesanti, molto vicini a quelli utilizzati in guerra, obsoleti e capaci di incutere timore alla popolazione, il secondo si avvale di androidi di forma antropomorfica che ben si adattano a reprimere la microcriminalità senza sostituire l’essere umano nelle operazioni.
Dopo anni di studi il professor Wilson riesce a sintetizzare un software dotato di autocoscienza e decide di impiantarlo, contro il volere del suo capo Michelle Bradley (Sigourney Weaver), in un’unità difettosa e dalla vita limitata.
Humandroid fonde in se più anime afferenti ad uno stile che ricorda lo stile degli action movie anni ’80 con in più quel sottile cinismo tipico degli ultimi tempi. Il primo pensiero dello spettatore più attempato vola verso Corto Circuito, per poi sfiorare la trilogia di Robocop in salsa meno seria e più ironica. Peccato che, pur essendo presenti tutti gli elementi utili per costruire un prodotto valido, Humandroid non decolli come sperato e sostanzialmente si riduce ad un lungo deja-vu.
Il problema risiede in parte in una scrittura poco efficace, incapace di prendere un’effettiva posizione circa la psicologia di Chappie. Qual è la morale? Siamo tutti buoni ma la società ci incattivisce o il germe della cattiveria cova in ognuno di noi e in alcuni attecchisce più facilmente?
Anche immaginando di non voler toccare tematiche così profonde e rimanendo nel substrato della commedia, comunque il film di Neill Blomkamp manca di quel qualcosa in grado di divertire lo spettatore. Di sicuro non sono sufficienti i siparietti tra il goffo androide e la squadra di disadattati punk che cerca di addestrarlo alla guerriglia urbana.
Humandroid diviene così una pellicola che si lascia seguire ma che altrettanto facilmente si lascia dimenticare.