GUILTY OF ROMANCE – Sono Sion
Una notte particolarmente buia e piovosa si staglia sopra un edificio fatiscente dislocato tra i Love Hotel. Entrando nelle stanze umide e (apparentemente) abbandonate è possibile trovare dei manichini raffiguranti una studentessa e una prostituta. Ad uno sguardo più attento non sfugge il rosso sangue che cola dalle inquietanti figure, in realtà in parte costituite da brandelli di carne umana.
La storia di questi cadaveri si lega alla scomparsa di due donne, apparentemente distanti, Izumi, moglie di un famoso scrittore, e Mitsuko, insegnante di letteratura in un’università del Giappone. Kazuko, la detective assegnata al caso, inizia ad indagare partendo da una scritta lasciata sul muro “Castello” dove è stato compiuto il massacro. Una parola kafkiana che cela un significato recondito, annidato nella mente (e nei ricordi) di chi l’ha scritto.
Complesso. Il film di Sono Sion non è facilmente ascrivibile ad un genere, non è nemmeno possibile descriverne la trama dato che quella indicata sopra è solo uno spunto per staccare un biglietto per un viaggio ipnotico e allucinante che trascina chi osserva in un baratro di follia apparentemente delirante. Apparentemente perché, in realtà, sfogliando strati su strati di subconscio ammaliato dalla pazzia, si ritrova un significato primigenio affascinante ed evocativo.
Anche il riferimento a Kafka è decisamente meno approssimato di quello che sembra, spogliando linee su linee di romanzo per capire ciò che si nasconde dietro la pagina: il volto, il dolore, l’esperienza di un artista. In Guilty of Romance l’artista, che possiamo dire dia il via a tutto il procedimento di straniamento, è il padre di Mitsuko. Tornando dietro la macchina da presa, Sono Sion riprende la sua concezione di donna come dinamica è impossibile da incapsulare dentro 4 mura (che siano universitarie o domestiche), e lo fa attraverso quattro donne dal carattere e dagli atteggiamenti complessi (Mitsuko, la madre di quest’ultima, Izumi e Kazuko).
Eccellente prova dell’intero cast, splendida la fotografia crepuscolare contrapposta al candore (leggasi grigiore) domestico, alienante il montaggio: elementi che convergono in un film di difficile assimilazione ma anche di esaltante sensibilizzazione verso un tema che, seppur ostico, non può che ammaliare.