GLI INCENDIATI – Antonio Moresco
È emblematico come uno dei libri più imperfetti di Moresco, almeno tra quelli che letti, sia, allo stesso tempo, uno dei manifesti (anche se “manifesto” è tra le parole più sbagliate, per la sua connotazione ideologica, da avvicinare ai libri di Moresco) più chiari di cosa significhi avere a che fare con la sua scrittura.
Tutta la verità che Moresco ti butta in faccia, in un modo tremendamente dolce e tremendamente crudele insieme, non ha compromessi. Va presa per quello che è, anche quando può sembrare che quello che dice passa per, o meglio altro non è se non, una sua personale illusione, dove la parola “illusione” è riduttiva. È così evidente come l’uomo e lo scrittore vi si sia buttato talmente tanto dentro che quella che, a uno sguardo superficiale, sembrava una illusoria, seppur benevola, speranza, promessa a se stessi, ci venga consegnata poi come una verità assoluta. Tale non certo perché si fa scudo di dati empirico-oggettivi impossibili da smantellare (è doveroso ricordare che la verità che il libro ci mostra rimane comunque oggettivamente tale), ma perché l’autore ha rinunciato a parti fondamentali di se stesso per poterla partorire e farcela leggere, mettendo in essa quasi tutto il suo essere. Insomma, Moresco ci riconsegna la sua verità, che non va considerata come elemento estraneo o differente dalla Verità, ma che è essa stessa Verità, e (forse) dell’unico tipo possibile.
Quindi, quando Moresco lascia alle sue pagine la sua speranza, la sua illusione che l’amore superi la morte (e la vita, soprattutto), che due corpi che si amano valgano più di ogni cosa esistente e che siano l’unico motivo per restare in questo mondo (o anche in un altro), non è più di un tipo di verità che stiamo parlando o di un modo per raccontarla, ma solo ed esclusivamente di Verità pura e assoluta, alla quale nulla è possibile aggiungere, né togliere, anche se il suo stesso autore dovesse “cambiare idea” a riguardo nel momento subitaneamente successivo a quello in cui l’ha consegnata alla sua scrittura.
Ed è proprio per questo che un libro vale più di un uomo.
Un piccolo accenno di trama: un uomo solo, disilluso da tutto e da tutti, si rintana in un grande albergo in una città balneare. Per scappare a un incendio, il nostro protagonista si ritrova su uno strapiombo di roccia dove, alle sue spalle, una voce femminile dall’accento straniero, gli sussurra “Vuoi bruciare con me?”. Da quel momento in avanti, tutta la sua vita si dipana nell’unico obiettivo di ritrovare quella donna e restare con lei.
La scrittura di Moresco rievoca ricordi di due bambini di sesso diverso, sei anni al massimo, che si mostrano i genitali, in un parco, all’aperto, mentre i genitori sono distratti dal picnic, lontani da loro … e non è una caso che elementi del genere siano presenti in diverse sue opere. È, infatti, quella dolcezza insieme maliziosa e curiosa, come di bambini che scoprono i rispettivi sessi, che traspare nelle pagine dello scrittore. Un senso della vita in continuo rivelarsi. Lo sguardo curioso, e maliziosamente auto-cosciente di tale curiosità, della bambina che esamina il sacchetto dei testicoli dell’amichetto e si accorge di non possederne uno uguale.
E anche ne Gli incendiati questo senso magico di rivelazione non viene disatteso. È lì, ci chiama, ci mostra fessure del nostro corpo che non conoscevamo ancora, tagli nuovi pieni di sangue vivo e pulsante. E i due corpi dei due protagonisti sono costantemente lì, costantemente caldi, vivi, pulsanti, brucianti. Il loro bisogno reciproco, così ossessivo, così totalizzante, è l’unica cosa per la quale valga la pena combattere, sia in morte che in vita. Perché combattere ha senso, come ci dice lo stesso Moresco, solo quando lo si faccia, spalla contro spalla, con un corpo che amiamo, un corpo che è tutto per noi. Il gioco della vita-morte, della morte viva, della vita morta, è solo un espediente, il teatro nel quale i corpi, i due corpi, possano stare insieme e, continuamente, compenetrarsi in tutti i modi possibili e immaginabili nei quali sia pensabile entrare in quello che è Altro da sé, regalandosi e avendo in regalo allo stesso tempo.
Se all’inizio scrivevo che questo mi è sembrato tra i libri più imperfetti di Moresco è perché si sente come, a differenza dei suoi più grandi capolavori, non ci sia dietro un lavoro ossessivo e lungo, estenuante (almeno non estenuante “nel tempo, in tanto tempo”). Ma proprio nella “frettolosità” si ritrova esplicitamente l’urgenza di verità celata in ogni singola frase scritta dell’autore mantovano.