EVANESCENCE – “The open door”
Reduci da un full length di debutto (Fallen) che ha venduto milioni di copie, orgogliosi di aver calcato innumerevoli palchi in giro per il mondo, vincitori nel 2004 di due Grammy Awards (come Best Hard Rock Performance e Best New Artist), tornano sulle scene gli Evanescence nel 2006, dopo un periodo di stop discografico che ha coperto ben 3 anni (escluso l’inutile live Anywhere but home).
Orfani del chitarrista co-fondatore Ben Moody, sostituito dall’ex-Cold Terry Balsamo, propongono un disco molto simile al precedente, denso di melodie orecchiabili e ben studiate, distese su basi a tratti new metal altri pop.
A “Sweet sacrifice” tocca l’arduo compito di aprire le danze, ma la band risolve semplicemente il problema clonando “Going under” con buoni risultati, in quanto il brano segue i suoi tre minuti di durata senza alcun intoppo. “Call me when you’re sober” è il primo singolo estratto, nonché primo video, e segue le coordinate della precedente song con un chorus catchy e buoni arricchimenti di tastiera, il resto si rivela piuttosto banale. “Weight of the world” suona anch’essa sullo stile delle precedenti, sembra quasi di ascoltare un disco death di stampo underground con tutte le canzoni scritte con i medesimi due riff in Mi minore e Fa! Appena ho letto “Lithium” ho temuto si trattasse di una cover dei Nirvana, per fortuna invece è la ballad che si affianca alla precedente “My immortal” in modo meno incisivo e malinconico, ma decisamente più ruffiano. Tuttavia il brano scorre via piacevolmente.
“Cloud nine” tenta di sperimentare territori nuovi e qualche passo convince, senza far gridare tuttavia al miracolo; analogo giudizio segue “Snow white queen”, molto interessante nei versi, troppo autocitazionista nel chorus. “Lacrymosa” e “Like you” risultano eccessivamente lente e soporifere, prive di alcun guizzo creativo o esecutivo, nettamente bocciate. Inutile anche la successiva “Lose control”, veramente non riesco a scrivere nulla su questa song data la totale assenza di emozioni comunicate. Mentre si delineano le note che costruiscono “The only one” penso ci possa essere un balzo in avanti, ma probabilmente è solo una impressione dettata dalla precedente penuria; così sarà al limitare dei cinque minuti. Ancora lenta è “Your star”, ordinaria negli arrangiamenti, scontata nelle parti di chitarra, monotona nelle parti vocali. Evito ogni commento su “All that I’m living for”, piatta e monocorde, premere il tasto skip prego. Chiude il disco “Good enough”, ballata di pianoforte, voce ed arrangiamenti orchestrali dal gusto stavolta non drammatico bensì arioso e ricco in armonie maggiori che, pur non eccedendo su nessun fronte, indica un punto di rottura con le precedenti.
Sono intuibili i problemi che hanno afflitto gli Evanescence con i cambi di line-up, ma impiegare tre anni per restare sugli stessi binari sembra esagerato. Avevo parecchio apprezzato il precedente Fallen (specialmente grazie a songs quali “Tourniquet”, “My Immortal” e “Going Under”), debilitato da alcuni cali di tensione, e speravo in un disco che almeno non lo facesse rimpiangere, purtroppo così non è stato. La discesa costante della seconda metà del disco è sintomo di mancanza di idee e di scarsa coesione tra i membri del gruppo, nessuno ha pensato che una riduzione del numero dei brani avrebbe giovato? Chi ha amato il primo disco amerà anche questo, chi lo ha bistrattato avrà ulteriori motivi per continuare a farlo, chi non conosce la band si diriga verso Fallen.
Tracklist
Sweet Sacrifice
Call Me When You’re Sober
Weight of the World
Lithium
Cloud Nine
Snow White Queen
Lacrymosa
Like You
Lose Control
The Only One
Your Star
All That I’m Living For
Good Enough