EBOLA SYNDROME – Herman Yau
L’orgoglioso Kai (Anthony Wong) odia essere preso in giro e, specialmente, ama il sesso. Questi lati del suo carattere lo porteranno ad ammazzare il suo boss ed a dover scappare in Africa trovandosi un lavoro come cuoco in un ristorante cinese. La sua perversione lo porterà ad abusare di una indigena contraendo il terribile virus ebola di cui diverrà portatore.
Debole film di Herman Yau che, dopo il sanguinolento The untold story, torna con un’altra opera stavolta pregna di humor e sangue. Le sequenze più spinte non mancano, il sangue scorre abbondante però il tutto non è funzionale alla storia esacerbando lo spettatore. Ovviamente, e volutamente, il film scivola nel calderone (senza fondo per fortuna) del cinema trash offrendo del sano divertimento che, di contro, ha il difetto di stancare. Nel teatrino inscenato da Yau i burattini si muovono senza dar troppa considerazione ai dialoghi, scorrendo da una situazione all’altra senza particolari motivi, istintivi ed eccessivi, consci del gioco a cui stanno partecipando. Con i riflettori puntati addosso è proprio Anthony Wong il fulcro su cui poggia l’esile struttura narrativa, l’eccesso lo darà lui rendendo quasi caricaturale il personaggio di Kai, i cui istinti sessuali non si frenano neanche di fronte ad una moribonda.
Da citare anche l’artigianalità dell’ensemble, alle volte infatti sembra di assistere ad uno dei molti film fatti in casa. In attesa di un ritorno sulle proprie orme alla violenza di The untold story, siamo di fronte ad un film di transizione per Yau. Solo un mezzo passo falso.