DOOMSDAY – Neil Marshall
Il virus Reaper sta flagellando la Scozia, portando le autorità del Regno Unito a confinare la popolazione all’interno dell’area a rischio. Un muro controllato dai militari separa i contagiati lasciati al loro destino dal resto del mondo. Vent’anni dopo, quando tutti hanno dimenticato il disastroso esito del virus Reaper, un nuovo focolaio scoppia a Londra.
I militari che controllano la situazione all’interno della zona contaminata, decidono di inviare un drappello di soldati capitanati dal maggiore Eden Sinclair per tentare di recuperare un eventuale vaccino. Un contenuto numero di persone, infatti, è sopravvissuto alla decimazione.
Neil Marshall è uno degli autori di nuova generazione capace di portare una ventata di novità e freschezza nel panorama cinematografico thriller-horror: Dog Soldiers ha il grande pregio di riprendere il mood di alcune pellicole anni ’80, adattandolo ai gusti attuali senza mai strafare né banalizzare per coprire evidenti falle (vedere per esempio Hatchet di Adam Green); The Descent è un cupo ritratto tinteggiato nei meandri della natura così come della mente umana. Con Doomsday il regista compie un balzo indietro.
Il binomio regia/montaggio è semplicemente perfetto, entrambi gli elementi sono curati in maniera pignola e magnificamente orchestrati. La fotografia riesce ad essere contemporaneamente limpida e sporcata ad arte (come in Non aprite quella porta – The beginning). Il packaging è perfetto, ma se bastasse solo questo anche La passione di Cristo sarebbe un capolavoro. Per sottrazione si comprende come il punto debole risulti il plot. Anche cercando di nascondersi dietro il paravento del citazionismo, Doomsday non riesce a districarsi dalla banalità e linearità di situazioni che lo relegano a ruolo di action-movie di poco spessore dal sapore post-apocalittico.
Si parte da una situazione catastrofica che ricalca (tra i tanti) 28 giorni dopo e la sua eventuale risoluzione simil 1999: fuga da New York, con la protagonista (Rhona Mitra) che riprende fedelmente i modelli dettati da Milla Jojovich nella saga di Resident Evil o Kate Beckinsale in Underworld. I cattivi sono mutuati dall’immaginario di Mad Max, con tanto di abbigliamento punk/fetish, ma non mancano richiami da Excalibur (John Boorman) per il look del manipolo di guerrieri vestiti con abiti medievali.
Da questi accostamenti si può intuire quanto Doomsday risulti come un mescolone di situazioni che si incastrano in maniera poco brillante rendendo il contesto fracassone, il ché può anche essere positivo, ma anche a volte ridicolo in modo involontario. Un pizzico di humour condisce adeguatamente il contesto, ma siamo sempre accostati ad un giocattolo dove si alternano sparatorie, violenza (contenuta), belle macchine e donne discinte, dimenticando qualsiasi altro orpello o idea. Di per sé Doomsday è un prodotto gustoso per gli amanti del genere, per coloro che adorano Mad Max come Endgame, ma avendo una firma così importante non riesce ad entusiasmare tutti quelli che guardano con attenzione il percorso di Neil Marshall, qui non al suo massimo livello espressivo.