DOLL SYNDROME – Domiziano Cristopharo
Un uomo solo, in silenzio di fronte ad un vetro che lo separa dal mondo esterno. Veicoli sfrecciano incuranti lungo strade marce di incuria, in un’altra mattina dove il sole bagna i corpi di chi vuole restare nell’ombra … a scrutare senza essere visto. La mano sull’uccello e la giornata inizia con uno spruzzo di piacere, un’esplosione di disgusto verso quello che c’è fuori, un appestato singulto da condividere con il mondo. Rimanendo separati da una lastra di vetro.
L’anima in pena è un reduce di guerra (Tiziano Cella), un uomo distante, dalle movenze lente simil-zombesche, incespicato nella bellezza di un’avvenente fanciulla (Aurora Kostova) intenta a leggere un libro di Pirandello, mentre è perso nel suo girovagare. Uno stimolo che sembra scuoterlo sino al midollo, trascinandolo verso un senso di possessione che lo lascia impazzire, spingendolo verso forme di autolesionismo estreme, che possono solo peggiorare dopo la scoperta del fidanzato di lei (Yuri Antonosante).
Secondo capitolo di una trilogia dantesca che vede delle anime in pena attraversare inferno (Doll syndrome), purgatorio (Red Krokodil) e paradiso, senza l’aiuto di nessun Virgilio o Beatrice. Questi esseri sono simulacri di auto-devastazione, pungenti corpi destinati a farsi sopraffare da loro stessi, rami secchi la cui dannazione non può essere che eterna, specialmente se immersi in un mare di dannazione e dolore come quello presentato in Doll Syndrome. Non dimenticate, siamo all’inferno.
Scritto da Andrea Cavaletto (Il proiezionista, Eat me tender, Bellerofonte ma anche diversi albi di Dylan Dog), interpretato con gran classe da Tiziano Cella e supportato da Aurora Kostova e Yuri Antonosante, Doll Syndrome è ulteriore rappresentazione della personalità del proprio regista, un Domiziano Cristopharo cinico nella rappresentazione (estrema) della realtà, atomico nell’estasi dell’immagine volutamente lenta e sospesa, deambulante come il protagonista, incapace di non infilare lo sguardo nel più nauseante cunicolo. Inutile dire che il film non è per tutti, quasi totalmente muto, febbricitante nel rincorrere suoni e umori, furbetto (se vogliamo) nel correre lungo una linea sperimentale per antonomasia difficile da inquadrare e valutare oggettivamente. Da vedere in successione con il precedente Red Krokodil, pur di essere pronti per un viaggio lisergico.