DISILLUSION – “Gloria”
Una delle recensioni più difficili che mi siano mai capitate tra le mani. La premessa è obbligatoria: il debut album “Back to the time of splendor” l’ho amato alla follia per merito delle intuizioni geniali insite nelle composizioni stesse, articolate tramite diversi respiri incapaci di annoiare l’ascoltatore anche nello stesso svisceramento della forma canzone convenzionale. L’ottimo ed originale connubio tra parti progressive e death, malinconiche e ariose, acustiche o elettriche, thrash o genuinamente rock progressivo, non si perdeva mai in un contenitore troppo stretto per mantenere tutto, ma si dilatava fino agli estremi fisici del mezzo, profondendo freschezza innaturale in ogni brano.
Rispetto alla precedente release i Disillusion hanno deciso di voltar pagina. Stavolta non è possibile sproloquiare su un passo avanti o indietro, semplicemente la band ha imboccato un’altra via. Sarebbe troppo semplicistico liquidare il disco parlando di involuzione mentre sarebbe ingiusto elogiare la band esaltando una coraggiosa scelta “progressiva”, nel senso di evoluzione del sound e del connubio testo/musica. Impavidi lo sono stati sicuramente, i tedeschi, consci del rischio che stanno correndo: la paura di perdere una buona fetta dei vecchi fan è altissima così come l’improbabilità di trovarne dei nuovi. Se da un lato, infatti, la scelta di rendere un climax industriale a tratti apocalittico, accostandosi ai Rammstein, può risultare maggiormente commercialotta, dall’altro la totale assenza di ritornelli catchy, o di brani preparati ad hoc per il pogo, suona come un suicidio discografico. E’ vero che i Disillusion si sono ammorbiditi parecchio in impatto, violenza e perizia tecnica compositiva, ma è anche vero che si sono induriti per quanto riguarda l’approccio alla forma standard della canzone.
Più ascolto il disco, più forte è la sensazione che il gruppo ha compiuto lo stesso passo (per alcuni falso, per altri no) fatto dai Pain of Salvation con “Be” o dagli Ulver con “Perdition City” (e mi riferisco a questo particolare disco, e non ai precedenti, proprio per le influenze trip pop prima non definite). Bene, per quanto riguarda i primi ho quasi pianto per la pochezza dimostrata su cd, ma ho esultato per la bellezza dell’unione immagini/musica dell’omonimo dvd, il quale dimostra (a mio avviso) la scelta inopportuna di proporre un tale concept su disco, quando nella mente di Daniel Gildenlöw sicuramente l’ispirazione aveva apportato frammenti video e colonna sonora in inscindibile successione. Per quanto riguarda gli Ulver ho apprezzato sin dal primo ascolto il disco, immergendomi nell’atmosfera perversa e laconica ululata dal triste sax e dagli azzeccati campionamenti. Tutto ciò per dire che anche nelle sterzate più brusche, può nascondersi a primo impatto l’opera più magniloquente, ma alle soglie del quinto ascolto “Gloria” non riesce ancora a convincermi. Ciò che maggiormente annichilisce è la scelta di filtrare quasi continuamente la voce: raramente Vurtox riesce ad esprimere il suo carisma dato che o i versi sono parlati o filtrati pesantemente; questo mi risulta ostico ed inaccettabile. Se i tempi schizofrenici dell’opener “The black sea” si dimostrano consoni a tale scelta nei versi iniziali, il filtraggio totale della voce (dall’inizio alla fine della canzone) è incomprensibile, geniale invece l’inserimento dei cori femminili. “Dread it” è semplicemente stupenda, porta avanti il discorso industrial iniziato in questo disco senza alcun bisogno dell’effetto megafono, e vi assicuro che la song ne guadagna moltissimo, è indescrivibile l’emozione provocatami dalla voce pulita di Vurtox, accompagnata da innovative partiture della componente ritmica. Se la maggior parte delle song avesse impostato melodie vocali come in questo caso il disco probabilmente si sarebbe inserito nella mia lista dei top dell’anno. Basta poco, tuttavia, per disintegrare ogni speranza, pochi secondi e l’innesto di “Don’t go any further” segna la prosecuzione del resto del cd: atmosfere di synth, chitarrone alla rammstein e purtroppo voce parlata e filtrata sempre. Doveroso citare “Aerophobic” dove commistioni al limite della drum’n’bass riescono solo a stupirmi, in negativo. “The hole we are in” ripropone le clean vocals, peccato per il substrato musicale veramente incapace di suscitare una benché minima sensazione oltre l’indifferenza. Interessanti le atmosfere liquide della conclusiva “Untiefen”, quasi una liturgia recitata sott’acqua, sigillo finale che accresce il rimpianto per ciò che sarebbe potuto essere ma che non è stato.
Sarà la mia mancanza di apertura mentale o l’effettiva pochezza di questo “Gloria”, ma in definitiva la delusione ha preso il sopravvento. Inserire un voto “a caldo” avrebbe significato stroncare il disco con un voto rasentante lo zero, dopo ripetuti ascolti il giudizio negativo permane, ma la speranza che i Disillusion siano in grado di proseguire un percorso musicale degno della loro estrosità mi risolleva. Torno ad ascoltare “Dread it”, prima di accantonare il cd e tornare ai fasti di “Back to the time of splendor”, sorridendo amaramente rileggendo il titolo del disco.
Tracklist
1. The Black Sea
2. Dread It
3. Don’t Go Any Further
4. Avalanche
5. Aerophobic
6. The Hole We Are In
7. Save The Past
8. Lava
9. Too Many Broken Cease Fires
10. Untiefen