DESIRE OF THE INNOCENT BLOOD – Sami Haavisto
Una donna con un velo bianco che le ricopre il volto avanza con passo strascicato tra alberi e foglie sollevate dal vento, incurante della pioggia che le batte sul corpo. La pallida oscurità non riesce a nascondere la figura che lentamente ma inesorabilmente sta facendo ritorno a casa, nella dimora che ha diviso col suo giovane marito, prima di essere divorata dalla morte.
Sami Haavisto è un regista che vuole osare, sperimentare pur basandosi su stilemi da splatter movie ben rodati: imbocca due strade che corrono parallele lungo la medesima direttrice. Da un lato cerca la novità decidendo di dirigere un film in bianco e nero senza parlato, ma con i dialoghi scritti su spezzoni di pellicola, ricreando così il fascino del cinema muto dei primi decenni del secolo scorso. Dall’altro lato imbastisce una storia di vampiri classica dove il rapporto lesbo e la giusta dose di sangue non manca mai, seguendo un crescendo alquanto lineare.
Il punto debole della pellicola sta proprio in questa scelta che in un modo o nell’altro (probabilmente anche per motivi di budget) appesantisce lo svolgersi degli eventi proprio perché non pienamente compiuta. Decidendo di utilizzare un bianco e nero, perché non sporcare e graffiare la pellicola (esistono moltissimi programmi in grado di lavorare in questo senso sulle immagini digitali)? Perché non esasperare le movenze degli attori in modo tale da riportare su schermo la mimica che caratterizzava quegli anni cinematografici? Perché non servirsi di un montaggio meno “moderno” e “professionale”?
Sono questi gli interrogativi che saltano fuori automaticamente proprio perché l’idea è lodevole e decisamente valida, la musica ben ricrea determinate atmosfere del passato così come le ambientazioni domestiche, della locanda e dei boschi. Un esperimento riuscito a metà, ma che merita sicuramente un plauso per la coraggiosa scelta effettuata.