DAVIDE SCOVAZZO – Intervista
Forte del recente DURANTE LA MORTE, il regista Davide Scovazzo partendo dall’idea che ha generato il cortometraggio, ci racconta l’esperienza vissuta, lasciandoci intuire quali nuovi orrori (quotidiani) si appresterà a dipingere nell’immediato futuro. Parliamo di solitudine, di zone d’ombra … degli spettri che ci camminano di fianco.
In Durante la Morte affronti un tema drammatico come la solitudine e il grave peso che spesso generano i ricordi, attraverso l’espediente dello Zombie, da cosa nasce questo parallelismo?
Beh, diciamo che tutto è nato da quando ho letto per puro caso su XL di Repubblica la frase di Niccolò Ammaniti che ho posto in conclusione del film, e che dà la stura al soggetto che ho scritto e da cui poi sono partito. “I ricordi sono Zombie che ti uccidono instillandoti una nostalgia che ti leva il respiro“. Ti rendi conto della figata? Ho subito visualizzato il Ricordo non come etereo, come fantasma, ma come carne che si imputridisce e marcisce nel tempo: pensa alla panchina su cui hai dato il primo bacio, al treno che ti portava a fare il tuo primo viaggio da sola e in cui hai visto tale ragazzo strafigo che non avresti mai più rivisto in vita tua e ora chissà dov’è, a quella volta che hai marinato la scuola con le amiche e vi siete fatte le fototessere insieme e le avete appiccicate alla Smemo, al tuo primo rapporto serio con una persona e alle scelte che ti hanno cambiato la vita, che so. Ecco, i ricordi, QUEI ricordi sono come morti che, se non riusciamo a seppellire, elaborarne il lutto e lasciarli riposare in pace passando ad altro, restano lì, in eterno, in QUEI punti dove li hai vissuti, e costringono te a vivere una non-vita, mosso solo dal masochistico desiderio di riviverli, di essere rivissuto da essi, ossessivamente, anche se ti fanno male, anzi PROPRIO PERCHÈ ti fanno ancora male, ti divorano, perchè è per essi che vivi, negandoti al presente, quindi essendo tu stesso uno Zombi … ecco, sì, più o meno.
In un periodo in cui viene spontaneo chiedersi, se al cinema si sia più assediati da finti vampiri o esorcisti improvvisati, hai mai avuto il timore che alla vista del primo cadavere, lo spettatore si dicesse “ancora”?
…e infatti quando scrivevo la sceneggiatura ho ricordato quanto adoro certo cinema perlopiù considerato “nerd” o puerile, e, se me lo concedi, genuinamente paraculo, e che invece è un forziere di tesori sepolti come il cinema di Lucio Fulci, specialmente l’ultima fase della sua carriera, più bistrattata e meno conosciuta, in cui, sotto all’effettaccio gore e a certe bassezze simpaticamente opinabili, si sente la mano di un regista enorme, persino di un intellettuale. Pensa per esempio a Voci dal Profondo, e al protagonista “divorato dagli zombi della sua stessa coscienza” … ecco, mi interessava “usare” la figura dello Zombi per “dire altro” … odio la parola “metafora”, ma infatti a ben guardare non lo è: i miei zombi SONO ricordi, non simboli di-, e io sono il primo a cui non frega niente di vedere l’ennesimo film con zombi che assediano un palazzo ed è tutto uno spara-spara-ammazza-ammazza, specialmente se con macchina a mano mossa da operatori affetti dal morbo di Parkinson, o finte soggettive sgranate con telecamerina. Poi tieni conto che si tratta di un cortometraggio,per cui mi interessava una struttura “da corto”, diversissima quindi dai film a cui alludi ma incisiva, breve, solida e non sfilacciata, bella autoconclusiva e perfettamente comprensibile. Per cui ho solo cercato di fare arrivare tutto questo allo spettatore. Ai posteri l’ardua sentenza … !
Per gli esterni hai scelto delle location piuttosto estranee alla Genova tipica, tanto che parte della sala si domandava in quale città avessi girato quelle scene, una scelta voluta?
Ti ringrazio per la domanda, e colgo l’occasione per ringraziare nuovamente la Genova LiguriaFilm Commission per il supporto. Effettivamente la mia amata, arcigna, ostile, salmastra, splendida città è sempre stata usata al cinema proponendo location come il classico porticciuolo idilliaco, oppure la periferia industriale, o quartieri malfamati soprattutto in zona Porto, Ponente o Vicoli (penso soprattutto a vecchi, bellissimi poliziotteschi anni ’70 girati a Genova). Invece è una città che offre molto, molto di più, location variegate e una grandissima tavolozza di atmosfere che vanno riscoperte e promosse. Da parte mia, però, ho cercato di fare in essa una ricerca di spazi che fossero diversi da quanto mai visto in loco e non geograficamente riconoscibili, linee rette, cemento, acciaio e vetro, spazi asettici e “interiori”, che permettessero anche un certo studio dell’inquadratura, certe simmetrie, certe forme geometriche pure, certe tonalità di colore. Abbiamo girato a Genova , ma idealmente portebbe essere anche Piazza San Babila il venerdì all’ora dell’ Happy Hour: per quanto ne so io il mondo, parallelamente, sta andando avanti benissimo, ma è il mondo (e quindi gli spazi) del protagonista ad essere isolato, morto, devitalizzato.
La voce narrante è quella di Garbo, come nasce questa collaborazione e cosa ti ha spinto a proporre proprio a lui questo progetto?
Chiedi a Eli Roth perchè in Hostel 2 ci ha infilato Edwige Fenech, Luc Merenda e Ruggero Deodato e ti dirà la stessa cosa che potrei dirti io: nel cinema, non solo horror, cosa c’è di più eccitante – dico sul serio – della “partecipazione speciale”, del “cameo d’autore”? però, giustamente, perché lui? Semplicemente, perché ha una bellissima voce che utilizza e modula con consapevolezza tecnica ed esperienza, poi perchè ha un vocione virile ed avvolgente che però non scade nel birignao, anzi enfatizza il tocco “noir” (termine improprio, ma vabbé…) che permea il film, dagli abiti del protagonista alle temperature che col direttore della fotografia Marzio Mirabella abbiamo voluto dare ai colori. Sul serio, ti direi che ho scelto Garbo perchè la sua voce “ha il colore del film”. Senza contare poi che come formazione io sono un fiero figlio degli anni ’80 di cui sono un maniaco ossessivo-compulsivo, per cui per me é un’icona, oltre che una persona squisita, e che il tono umbratile e profondo della voce di Garbo stride volutamente con la figura di Enrico Luly che – qui- è un omino tutto imbacuccato, impaurito, guardingo, piccolo e solo. Per cui è decisamente una voce interiore, che viene da dentro.
Come nel tuo precedente lavoro, “Pink Forever”, siamo soliti vedere personaggi avviliti dalla vita, stanchi, e spesso in preda a una profonda solitudine. Pensi che ognuno in fondo abbia le proprie zone d’ombra o c’è un preciso intento nel disegnare questi personaggi?
A volte mi chiedo se qualcuno (a parte le classiche colleghe d’ufficio di chiunque che leggono a sproposito Paulo Coelho, fanno reiki e snocciolano massime precotte degne dei bigliettini dei Baci Perugina gabellandole per saggezza che aiuta a vivere felici) ha ancora qualche residua zona di luce, semmai! A parte gli scherzi, io sono un tremendo pessimista schifato e terrorizzato da me stesso e dal mio prossimo, e questo non può che tornare nelle cose che scrivo. All’inizio ero, concettualmente e “esteticamente”, innamorato di Ciprì e Maresco, del primissimissimo Jim Jarmusch, e perchè no, del primo Francesco Nuti, di film come Ad Ovest di Paperino di Benvenuti o Madonna che silenzio c’è stasera di Ponzi. mi affascinavano questi personaggi surreali e sideralmente soli che vagano per città deserte incontrando altri personaggi come loro, rinchiusi ognuno nella propria demenziale, comica e struggente follia, impossibilitati a condividere e comunicare alcunché. E tutto questo mi affascina ancora adesso…solo che ci ho messo lingue strappate, carne marcia e orbite colme di vermi!
Riprendendo il filo del discorso precedente. L’uomo che ripercorre ogni giorno lo strazio dei propri ricordi, lo fa per fuggire da una solitudine imperante tentando di opporsi a quella quotidiana dipartita, o è invece un uomo sconfitto che non sa voltare pagina?
La seconda che hai detto! No, forse nemmeno, non so se non sa o non vuole voltarla, questa pagina. è chiaro, è LUI che cerca gli Zombi, ogni giorno, anche se quando li avvicina ne ha paura, una paura che si rinnova, ma poi tornerà il giorno dopo a cercarli, e verrà di nuovo divorato, eviscerato, straziato come ogni giorno, e il mattino dopo non vedrà l’ora di tornare, e poi ancora, e poi ancora. forse dopo l’ “addio” della moglie non si è concesso di ricostruirsi una vita e quindi ripercorre ossessivamente le tappe fondamentali di ciò che è stato e che non è più (infanzia, giovinezza, adolescenza, maturità), ormai marce e a brandelli, perchè sono tutto quello che gli resta, e il dolore è meglio di niente. Forse … magari no.
Non ti domanderò il motivo della tua passione per il genere horror in quanto sarebbe come chiedere perché piaccia il rosso piuttosto del nero, ma cosa ti affascina nel particolare di questo modo di fare cinema?
Semplicemente perché, nella vita, essere Rob Zombie (regista non tanto rappresentativo di ciò che so e vorrei fare, ma per capirci) dev’essere molto più divertente che essere Ferzan Ozpetek! No, non è vero, non lo penso affatto. È che, semplicemente, è il genere con cui sono cresciuto e che mi ha regalato le atmosfere che mi hanno fato innamorare del Cinema tout court, e poi perché volevo sfidare il cliché secondo cui quando offri ad un’attrice un ruolo dicendole “sai, si tratta di un film horror….” vieni guardato – nel migliore dei casi – come un ritardato mentale, sennò alla stregua di uno che ti propone di fare un film porno (cosa che in sé non ha assolutamente nulla di negativo, ma questa è un’altra storia…) . Per questo sono grato alle mie attrici Fiorenza Pieri, Nicole Vignola e la giovanissima Jennifer Della Rocca, bravissime, professionali e soprattutto molto intelligenti, che hanno compreso subito questo genere di sfida e lo hanno fatto loro senza battere ciglio e comprendendone le finalità, senza chiedersi perché non stessi proponendo loro l’ennesimo ruolo della trentacinquenne che cammina nervosamente avanti e indietro per una stanza ansimando e fumando sigarette gridando di tutto al marito perché il loro rapporto è in crisi. Comunque é così! Non so negli altri paesi, ma in Italia se dici “horror” perlopiù vai incontro ad un ostracismo assoluto, lo stesso che sfidava Fulci nei confronti della critica, lo stesso che sfidano i ragazzi che magari non sanno chi é Gian Luigi Rondi ma in questo deserto asfittico vanno a vedersi Nightmare nella multisala invece che scaricarselo da Emule.
Poi, soprattutto, l’horror (mio genere prediletto insieme alla commedia Italiana, quella vera, Salce, Pasquale Festa Campanile, Corbucci, Monicelli buonanima, ma anche, moltissimo, certi Vanzina … ) è il genere che meglio assorbe e filtra le tensioni sociali e politiche di un’epoca e ci ricorda chi siamo e di cosa abbiamo terrore, infatti guarda gli apici che ha avuto, che so, negli anni ’30, nei ’70 (Zombi di Romero è al 100% un film POLITICO, ma questo lo sanno anche i muri ormai), il revival a cui si assiste dopo l’11 Settembre, (che ridendo e scherzando risale già a 10 anni fa) … anche se il mio film é assolutamente intimista e non ha nessuna valenza politica, ci mancherebbe.
A tuo parere il cinema italiano in generale, soffre maggiormente di una totale mancanza di idee, o della scarsa originalità di queste?
No, no, ci sono, ci sono. Zitte zitte, brulicano come vermi sotto terra, si contorcono, grugniscono, ma ci sono, le idee … abbiamo un Sorrentino (per me praticamente un GENIO) che giustamente fa fuggire il cervello e le chiappe negli Stati Uniti perché qui i budget che là sono pronti a dargli probabilmente sono pura fantascienza, ma, tra l’abbattimento di certi costi di produzione grazie ai passi da gigante che ha fatto il digitale negli ultimissimi anni, l’emergere di un nuovo piccolo ma reale star system (che porta soldi), sceneggiatori giovani, e una realtà underground (e quindi anche di genere) che si sta facendo sempre più tridimensionale e competitiva, diciamo che, tra fondi che non esistono, muri alti così tra chi è dentro e chi è fuori, commediole scipite come la minestrina di un ospedale o il film del comico di Zelig di turno, qualcosa, timidamente, cazzutamente, testardamente, incoscientemente, realmente sta iniziando a fare capolino. I tempi però stringono, e questo “nuovo che avanza” sta “avanzando” da un pò troppi anni! continuiamo a coltivare sull’asfalto, hai visto mai…
Cosa dobbiamo aspettarci dopo Durante la Morte? hai già qualche progetto in cantiere?
A parte la battutaccia che ho fatto alla prima e che penso venga capita solo nella realtà genovese, in cui dicevo che il prossimo passo sarà necessariamente girare il remake di Zombi 2 a Genova con gli zombi che ciondolano sul Ponte Morandi invece che sul Ponte di Brooklyn, e che è meglio pensarci noi prima che lo facciano i soliti Buio Pesto, magari chiamandolo “Resurrexon” , in realtà ho intenzione di usare Durantela Morte come “demo” per far circolare in cerca di produzione e di finanziamenti una sceneggiatura, ambientata nel nostro entroterra tra Liguria e Piemonte ma alla quale abbiamo cercato di dare un respiro e una fruibilità ben più ampia, che ho scritto insieme all’amico e scrittore Michele Vaccari, sulla quale per forza di cose posso dire molto poco, ma posso anticipare che stavolta non ci saranno zombi, nè alcunché di soprannaturale, anzi, è una storia cruda, malata e tremendamente reale: diciamo che, in questi tempi di social network, connessione perenne, artisti e performer concettuali indie/chic da una parte e Olindo e Rosa, Sara Scazzi, Yara Gambirasio, Elisa Claps dall’altra, faremo capire meglio agli amanti dello slasher vecchia scuola perché Fausto Paravidino ha paragonato certe zone a noi care al Texas …
Per concludere… Secondo Davide, è più facile convivere con i ricordi o rimuoverli?
Nessuna delle due.