CASTAWAY ON THE MOON – Lee Hae-Joon
Un uomo si trova su un ponte, appeso ad una telefonata (che gli annuncia il crack economico) più che alla balaustra … gli occhi si serrano e la caduta è immediata. Una ragazza vive segregata in casa da 3 anni, per sua scelta, con l’unico contatto (virtuale) verso l’esterno dato da un cannocchiale.
L’uomo si risveglia su un isolotto posto in mezzo ad un fiume, a poca distanza visiva dall’edificio dove lavorava, ma impossibilitato a muoversi data la sua incapacità di nuotare. Prima si dispera per non essere riuscito a suicidarsi, dopo si abitua alla sua nuova vita. Disperso a una manciata di passi dalla vita di tutti giorni. Durante le sue osservazioni dalla finestra, la ragazza intravede l’uomo e lentamente riesce a entrare in comunicazione con lui. Una storia di naufraghi … della vita.
Trionfatore al Far East Festival 2010, CASTAWAY ON THE MOON è una parabola fantasy che accoglie a braccia aperte l’assurdità della vita e la tramuta in racconto onirico: un rischio di annegamento diventa un modo per andare su e giù da una linea d’acqua che rappresenta la linea dei ricordi, andare sott’acqua per affogare nei ricordi, risalire in superficie per abbracciarli. La confezione di un cibo precotto tramuta l’olfatto in uno stargate che si apre su semplici occasioni non sfruttate … come preferire una partita solitaria a biliardo alla degustazione di un semplice piatto precotto.
Tecnicamente CASTAWAY ON THE MOON è superlativo: la regia ed il montaggio sono fluidi e vivaci, colorati come la fiabesca fotografia sempre brillante e pregna di colori accesi (rosso, verde acqua, giallo). Il cast, ridotto quasi a due soli caratteri, vede Jeong Jae-yeong e Jeong Ryeo-won caratterizzare i loro strambi alter-ego in modo convincente, specialmente la mimica facciale dell’uomo risulta giogionesca ma al punto giusto. D’altronde il film si poggia quasi totalmente su di loro e il voler bucare lo schermo fa parte del gioco.
Quello che appesantisce il film è l’esagerazione nella ironia, la parodia a tutti i costi. Se da un lato permette a Lee Hae-Joon di mantenere un ritmo elevato nonostante, sostanzialmente, non accada nulla, dall’altro tende a grattar via i toni amari su cui si sarebbe potuto puntare il focus dell’attenzione. Probabilmente è anche una questione di cultura, dato che non è la prima volta che mi imbatto in un film orientale dove l’ironia tende a svilire il messaggio originario, prediligendo un facile appeal sul pubblico alla strutturazione multilivello.
Un film divertente e molto originale, indebolito dalla eccessiva ricerca della soluzione comica nonostante un finale che, sotto la pioggia battente, trascina il mondo dei personaggi verso una meno onirica direzione.