BRONSON di Nicolas Winding Refn
Michael Peterson dimostra fin da piccolo di essere diverso dai suoi coetanei. Terribilmente aggressivo si mette continuamente nei guai, sovvertendo tutte le più comuni regole del vivere civile. A soli 17 anni compie la sua prima rapina, da cui ne ricava poche sterline e una condanna a sette anni di reclusione. Durante gli anni di prigionia viene a contatto con personaggi strani, malati di mente, ma soprattutto prende sempre più forma il suo alter ego: Charles Bronson. Charles è un pazzo, attacca tutti, salta al collo di chiunque lo faccia sentire minacciato, cerca la sfida, furiosamente invoca il consenso, l’esaltazione scaturita dalle sue imprese. Quando esce dal carcere, un impresario cerca di sfruttare la sua indole violenta e il suo bisogno di autocelebrazione facendolo diventare boxeur. Ma Charles Bronson ha la meglio su Michael Peterson e presto entrambi tornano dietro le sbarre, condannati a provocare, a farsi male, a sfidare il mondo.
Michael Peterson (quello vero) si trova tutt’ora in carcere per scontare una pena di trent’anni, è diventato il più violento criminale della Gran Bretagna senza che abbia mai ucciso nessuno. Refn immortala questo interessante personaggio in Bronson, un film crudele, reso ancora più accattivante dalla veridicità della storia. Tom Hardy interpreta il protagonista sublimandone il carattere tragi-comico, esaltandone la pazzia con ironia e humour nero. Bronson è un personaggio che, malgrado compia azioni aberranti, suscita compassione perchè, in fondo, sembra che nessuno lo abbia mai ascoltato veramente, sebbene cerchi di gridare la sua confusione al mondo.
Charles Bronson è un uomo lucido nella sua pazzia, orgoglioso delle sue azioni, capace di innamorarsi ma perennemente in solitudine. Un clown che si esalta di fronte al pubblico mentre racconta la sua storia, senza pentimento, senza rimorso. La violenza diventa un modo per affermarsi, come se non fosse capace di fare altro e, infatti, la esalta attraverso il disegno e le sue regolari pantomime che lo costringono all’isolamento. Qualcuno ha paragonato il film all’ultraviolenza di Arancia Meccanica. Comuni sono il senso di (in)sensibilità dei protagonisti, il loro distaccamento sociale, persino alcune scelte registiche accomunano i due film, per non parlare del chiaro richiamo al film quando il protagonista trucca la sua vittima come uno dei criminali del film di Kubrick.
Ho avuto modo di conoscere Nicolas Winding Refn e posso assicurarvi che il film lascia molto spazio alla personalità del regista e ne porta la firma sotto diversi aspetti. Refn è nitido, strafottente, vuole raccontarci una storia anche nei particolari più disgustosi, il pubblico può anche girarsi dall’altra parte se si sente disturbato, a lui non importa. La pazzia di Bronson è stata sfruttata per lasciare una marcata impronta del regista stesso, un artista a cui non manca certo il talento, capace di calcare la mano a suo piacimento, tanta è la voglia di sperimentare e crescere.