È STATO IL FIGLIO – Daniele Ciprì
La vita della famiglia Ciraulo, nel suo lento trascinarsi, nella salita e nel declino, è la storia che Busu ama raccontare nell’affollato ufficio postale della propria città. Il nucleo è composto da Nicola (Toni Servillo), pater familias ossessionato dalle scarse capacità del figlio Tancredi, dalla piccola sorella di quest’ultimo Serenella, della moglie e madre Loredana e dai nonni Fonzio e Rosa. Il degrado e il continuo annaspare sembrerà svanire all’incedere di una (s)fortunata sopraggiunta ricchezza.
Con un linguaggio etnicamente ben delineato, capace di incorporare non solo gli idiomi dialettali tipici della Sicilia ma anche quel sapore visivo in grado di ripercorrere terre assolate e desolate, Daniele Ciprì si pone dietro la macchina da presa senza il solito Franco Maresco. Il risultato è positivo ma altalenante. Questo perché la vicenda della famiglia Ciraulo appassiona nel suo districarsi attraverso i quartieri popolari di una città come Palermo (anche se il film è stato girato a Brindisi), luogo eterno dove essere cullati dal sole e dalle onde del mare ma anche sommersi dalla povertà, perdendo punti in un eccessivo carattere grottesco non sempre in linea con la storia.
Infatti nel saltare dall’ironia al grottesco si rischia di perdere troppo la vena drammatica che in fondo è uno degli elementi cardine di È stato il figlio (basti pensare alla figura di Busu, all’uccisione di Serenella o alla sorte di Tancredi), minando così le sensazioni di uno spettatore alquanto frastornato a fine visione. La sensazione finale è di certo positiva, questo non lo si può negare, la deriva dei sentimenti però lascia l’amaro in bocca, specialmente considerando l’impatto sociale che si vuole narrare attraverso elogi allo spreco come la Mercedes tanto agognata da Nicola, simbolo di un (dis)agio a cui non si è destinati, oppure sottolineando un fato così beffardo da scrutare la povera famiglia tramite gli occhi di un avvocato strabico oltre che stralunato.
È stato il figlio riesce simbolicamente a condannare l’uomo ed il proprio desiderio lussurioso, smanioso e strisciante, maggiormente vivido proprio dove la povertà e l’ignoranza strisciano in maniera sibillina, sussurrando docili parole di riscatto … impossibili da assimilare.