DURANTE LA MORTE – Davide Scovazzo
Nel grigiore metropolitano di una città deserta e asettica, un uomo si fa largo a passi nervosi e repentini in un susseguirsi di vie chiaramente famigliari, lungo le quali impera un silenzio assordante.
Celato da vesti pesanti in una giornata particolarmente ventosa, lo sconosciuto si ferma d’un tratto a contemplare l’ipotetica madre di un qualsiasi bambino intenta in consuete raccomandazioni, finchè il primo piano del suo sguardo sgomento rivela la vista di due zombie dai visi orrendamente segnati.
Il vuoto di una città che rispecchia il totale abbandono di un uomo, rigorose architetture statiche ed emotivamente vuote come riflesso di un’anima stanca ed avvizzita. Questo il punto di partenza attraverso cui il regista Genovese ci accompagna in una dimensione introspettiva alla scoperta del ricordo o forse attraverso una repentina fuga da esso.
Da una frase di Niccolò Ammaniti nasce lo spunto per un prodotto assolutamente originale dove l’horror si fonde a una dimensione romantico/drammatica, o probabilmente viceversa. La figura dello zombie, osannata se vogliamo da molti amanti del genere e vista con aria più sospetta dai meno nostalgici, diventa un espediente per raccontare la profonda solitudine di un uomo divorato ogni giorno da quei ricordi che non è riuscito a seppellire e che puntualmente riaffiorano a torturare ferite ancora sanguinanti.
E Durante la Morte non è altro che questo, una lenta agonia fatta di gesti ripetitivi e luoghi mai rimossi dalla mente che si sostituiscono a una vita che oramai è sopravvivenza, quando dimenticare è impossibile e l’ossessione di una felicità perduta ci divora come uno zombie affamato, una morte che si rinnova costantemente.
Ad avvalorare una trama certamente ben congeniata, la scelta di location assolutamente ruvide e asettiche di pari passo con lo stato quasi di alienazione del protagonista, che riveste un altro punto di forza in un puzzle dove ogni tassello pare aver trovato la sua naturale collocazione. Artefice di un’ottima interpretazione, Enrico Lully disegna con le espressioni del proprio volto il malinconico tormento di un uomo vittima di se stesso che le uniche pagine in grado di voltare sono ormai quelle di un album fitto di ricordi, dal quale emerge mestamente la fugacità di una vita dove tutto può cambiare da un momento all’altro, come il volto radioso di una sposa può celare d’un tratto una smorfia rancorosa di abbandono.
Con un ottimo uso della fotografia e un trucco di scena assolutamente notevole dove lo splatter scivola sinuoso come rivoli di sangue, va sottolineata una scelta senz’altro appropriata della colonna sonora, che unita alla voce narrante di Garbo cui pare essere stato cucito addosso questo ruolo, va a scandire perfettamente le note melanconiche sul quale tutto è costruito.
Unica dissonanza se vogliamo, o forse una scelta forzata che appureremo, è l’aver optato per alcuni attori con una chiara inflessione dialettale, esempio lampante nella scena madre figlio. Nulla di male se non fosse in netta antitesi con il voluto intento di non dare un nome ne un volto alla città delle riprese, proprio per dissociarsi da una provincialità a volte un po’ stretta. Siamo di fronte ad un buon prodotto con delle sicure potenzialità. Da tenere d’occhio.
VOTO: 8/10
Regista, sceneggiatore: Davide Scovazzo
Cast: Enrico Luly, Fiorenza Pieri, Nicole Vignola
Fotografia: Marzio Mirabella
Italia, 2011