DIVA FUTURA – Giulia Steigerwalt
All’inizio dei favolosi anni ’80 nacque a Roma un’agenzia per promuovere attrici e attori porno. Il suo fondatore si chiamava Riccardo Schicchi e l’agenzia in questione era la mitica Diva Futura.
Riccardo era principalmente un fotografo, un uomo che amava le donne, le adorava, le esaltava con delicatezza e rispetto, impreziosendo il tutto con quella sua ironia gentile che lo contraddistingueva, a dispetto del machismo molto in voga in quel periodo.
Diva Futura, secondo il suo leader, non doveva essere soltanto un trampolino di lancio per il successo, ma anche un’ispirazione per il popolo, un movimento di liberazione dell’essere umano, soprattutto della donna. Vi erano ancora troppi tabù intorno al mondo del sesso e Riccardo, con le sue azioni provocatorie, cercò di scardinarli.
All’interno di questo big bang ormonale, che era Diva Futura, lavorava una donna, una segretaria che forse, all’epoca, ancora non comprendeva appieno il pensiero di Schicchi. Riccardo la chiamava ossessivamente “signorina”: il suo nome era Debora Attanasio. Lei cercava solo un impiego per far quadrare i conti e pagare il mutuo a fine mese, ma si ritrovò a ricoprire molteplici ruoli, diventando di fatto l’assistente personale di Riccardo Schicchi e seguendolo ovunque.
Il film Diva Futura, presentato all’81ª Mostra del Cinema di Venezia, è il secondo lungometraggio di Giulia Louise Steigerwalt, qui anche in veste di sceneggiatrice insieme alla Attanasio, dal cui libro è tratto. Diva Futura ha rappresentato molte cose in quegli anni. Se pensiamo a figure come Ilona “Cicciolina” Staller, Moana Pozzi ed Eva Henger, tutte e tre hanno incarnato un determinato periodo storico e un pensiero socioculturale. Ma, soprattutto, sono state muse di Riccardo Schicchi.
Cicciolina è stata la prima pornoattrice a entrare in Parlamento, incarnando perfettamente lo spirito del Craxismo. Moana, invece, è sempre stata a metà tra due mondi: complice e vittima della pornografia, in bilico tra la trasgressione e il desiderio di emanciparsi da un personaggio che, soprattutto negli ultimi anni della sua carriera e della sua vita, le pesava sempre di più. Infine, Eva Henger ha accompagnato Riccardo fino alla fine della sua carriera e della sua esistenza.
Un pensiero a parte va dedicato proprio a Diva Futura, che non era una persona, ma è come se lo fosse stata: aveva una sua vita propria, ha segnato un’epoca ben precisa, che alcuni, ormai non più giovani, rimpiangono (forse proprio perché non lo sono più). È tramontata con l’avvento di Internet, dei social e delle piattaforme di contenuti per adulti. Non solo: Diva Futura era anche un locale in cui le attrici hard si esibivano, a due passi da Via Veneto, simbolo del lusso, della Dolce Vita e del jet set romano.
In questo contesto, era doveroso raccontare Diva Futura e il suo fondatore Riccardo Schicchi in un film. Ed è altrettanto giusto che a farlo siano due donne, proprio perché possiedono quella delicatezza e quello sguardo sul mondo che Riccardo amava tanto.
Il film ha una durata importante (120 minuti), necessaria per seguire e contestualizzare al meglio i fatti. La narrazione procede con balzi avanti e indietro nel tempo, evitando una struttura cronologica lineare per mantenere un ritmo brillante e non annoiare lo spettatore. Tuttavia, nella seconda parte si concentra forse un po’ troppo sulla vita delle artiste citate, lasciando Riccardo in secondo piano. D’altro canto, va anche detto che il film si intitola Diva Futura. E Diva Futura erano, prima di tutto, loro: le dee dell’olimpo di Schicchi.
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