DANZA MACABRA – Antonio Margheriti
Alan Foster (Georges Rivière) è un giornalista che rincorre Edgar Allan Poe (Silvano Tranquilli) per rubargli un’intervista. Finalmente l’intervista avviene in un locale della Londra di fine ‘800. Il discorso cade sulla veridicità di una vita oltre alla morte e notando lo scetticismo ferreo di Alan, Lord Blackwood, testimone dell’intervista, sfida il giornalista a passare la notte presso un castello di sua proprietà ovviamente infestato dai fantasmi che, nella notte dei morti, tornano in vita a rivivere gli ultimi minuti delle proprie esistenze.
Alan stuzzicato dalla scommessa la accetta e s’inoltra nel castello, convinto che la sua logica sia in grado di spiegare qualsiasi eventuale fenomeno strano e che il suo scetticismo l’avrebbe aiutato a superare la notte indenne. Ma la sua razionalità soccombe di fronte alla realtà degli eventi a cui assiste rinchiuso nel castello. Non aveva fatto i conti con la passionale Elizabeth (Barbara Steele) né con tutta la congrega di suoi pari che, in quella notte, abitano il luogo. Alan intorbidato dalla bella Elizabeth si accorge troppo tardi di essere in trappola e ancor più tardi capisce che affinché i fantasmi possano rivivere la loro ultima notte hanno bisogno di un elemento essenziale, di un ulteriore convitato. Il tutto sarà spiegato ad Alan dal dottor Carmus, un interessante personaggio interpretato da Arturo Dominici, che crede e cerca di convincere Alan in una vita post-mortem. E Alan aspetta, testimone dei fatti avvenuti in quella casa, spettatore, come noi che lo osserviamo, di episodi in cui diverse persone hanno perso la vita. Finché non arriva il suo turno.
Questa notevole pellicola è del 1963, firmata Anthony Dawson, pseudonimo di Antonio Margheriti, ed è tutta italiana. Scritta da Giovani Grimaldi, e Bruno Corbucci, avrebbe dovuto vedere la firma in regia di Sergio Corbucci. Margheriti si è trovato per puro caso a gestire una sceneggiatura interessante e scorrevole, ha potuto contare su una fotografia ottima di Riccardo Pallottini e sull’aiuto-regia di un giovanissimo e inesperto Ruggero Deodato.
Danza macabra è un film dolce, sensuale e funereo, un noir che probabilmente ha sorpreso anche il regista, di cui si può ben distinguere l’impronta. La sfacciata sensualità delle protagoniste e la scena saffica oltre a far scalpore per l’epoca, sono precursori di un cinema che ben presto sarebbe diventato cult. Ma necessariamente bisogna sottolineare altri pregi che hanno fatto sì che questo film sia considerato uno dei migliori film horror-gotici italiani. L’attenzione dello spettatore e la sua meraviglia di fronte a cotanta lascivia, si amalgamano alla giusta trepidazione per l’attesa del momento culminante; l’Eros e il Pathos, mantengono alta la tensione, una storia d’amore in un incubo, un incubo che diventa, nel suo culmine, l’inizio di una storia d’amore che va aldilà della vita.
Impareggiabile la battuta finale di Lord Blackwood che con freddezza prende dal portafoglio del povero penzolante Foster la vincita della scommessa, mentre gli occhi di Edgar Allan Poe, prendono appunti per una nuova storia.
Un film dalle modulazioni gotiche tanto care al suddetto scrittore. I chiaroscuri del bianco e del nero, rivestono il lungometraggio di un tono lugubre, gli effetti speciali sono suggestivi (si pensi alla scena girata nella cripta, alla mummia che respira, scene davvero di impatto). Ad un’ottima tecnica si accosta un’eccellente interpretazione da parte di tutti i personaggi. Da ricordare, in primis, una Barbara Steele nei panni di Elizabeth, affiancata da Margherete Robsahm e Georges Rivière. Margheriti ha provato a doppiare il successo ottenuto con Danza macabra dirigendone il remake, Nella stretta morsa del ragno, ma è con il titolo originale che è riuscito ad entrare nella rosa dei grandi registi horror italiani insieme a Mario Bava e Riccardo Freda.