CRASH – David Cronenberg
James Ballard (James Spader) è all’interno della sua auto quando avviene lo schianto. Una (sua) distrazione e due vite risultano spezzate, una coppia si sgretola con la morte di lui ed il ferimento della donna. Vaughan (Elias Koteas) è un uomo ossessionato dall’incontrarsi e scontrarsi delle lamiere, un artista dell’incidente, edonista nella riproposizione delle sciagure automobilistiche.
I due si incrociano in ospedale, si instaura un bizzarro rapporto che vede Vaughan mentore di James, architetto di un modo di placare il piacere con il dolore.
Vincitore nel 1996 del Gran premio della giuria a Cannes, il film di David Cronenberg trova tra le soffuse righe di James Ballard quella materia tanto cara al regista di Toronto, così compenetrata in un nero pece da sembrare plasmata con le sue stesse mani. La carne calda, pulsante, rosea che si infrange e compenetra nell’acciaio freddo, chirurgicamente sterilizzato, generando una nuova forma di vita diversa ma, al contempo, quotidiana. Cicatrici e protesi come sistemi di plug-in per leghe metalliche, menti catartiche che si rifiutano di continuare a poggiarsi sul trono di un corpo “debole”, anelando sostegni marmorei. Fredda (ma lucida) morbosità.
Un diverso modo di confidarsi che annienta il linguaggio ma ritrova nell’urto la propria valenza, come se il fragore dell’incidente sia l’unica modalità espressiva oggi possibile per l’essere umano. Questo anche nell’intimità. Il sesso diviene inutile, soggiogato alla routine, noioso e anonimo se non nell’eiaculazione post-collisione. Crash esalta con uno sguardo (apparentemente) distaccato, sostenuto da un’azzeccata colonna sonora, quella sorta di inaudita violenza che diviene necessaria per levare un urlo straziante oltre il quotidiano rumore bianco. La materia filmica non possiede lo stesso impatto del romanzo, ma David Cronenberg riesce a ricamare una sua dimensione ultraterrena, dove far muovere le sue pedine.
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