COSMOPOLIS – Don De Lillo
Don De Lillo è uno scrittore che lentamente si è affermato come uno dei più grandi scrittori del ventesimo secolo, e Cosmopolis ne risulta l’ennesima conferma. La storia verte su Eric Packer, un giovane miliardario che possiede tutto quello che desidera e che riesce ad immaginare, nelle cui mani si concentrano ricchezze e potere dalle quali dipendono le vite di migliaia di persone.
Eric Packer è sposato con una giovane ereditiera, una donna che fatica sempre a riconoscere, è attorniato da un cumulo di figure (body guard, esperti di marketing, segretarie), ha un medico personale che lo visita ogni giorno a domicilio nella sua stessa macchina, facendogli regolari esami della prostata. Eric Packer, però, oggi ha voglia solo ed esclusivamente di andare dal barbiere. Eric Packer, oggi, vuole solo tagliarsi i capelli. Cosmopolis è il breve ma intenso viaggio che il nostro giovane protagonista compie per arrivare a destinazione.
Leggere Cosmopolis come una semplice metafora del sistema capitalistico è, per lo meno, riduttivo, così come descriverlo come mero attacco al capitalismo risulta offensivo. Don De Lillo parla della vita e l’unico attacco che mette in opera è proprio contro di essa. Il denaro, in questo quadro, diventa solo uno dei tanti elementi attraverso il quale gli uomini, ogni giorno, affermano la propria volontà di esistere. Come in una macchina ben oleata e dalla quale evadere è impossibile, il capitalismo, nelle sue varie incarnazioni, diventa la base dalla quale lo scrittore americano parte per raccontare le aberrazioni della vita, moderna e non.
E non sono solo i miliardari, le banche, chi sembra avere nelle proprie mani le sorti dell’intero mondo, i protagonisti di questo sistema asfissiante e cancerogeno. Gli anarchici, i proletari, i disoccupati diventano un “momento”, un “concentrato” informe, fondamentale e necessario alla macchina per potersi realizzare perfettamente. Il sistema non è dato, come si potrebbe pensare semplicisticamente, da chi sembra gestire il tutto, ma in esso tutti i ruoli hanno eguale importanza visto che, a conti fatti, tutti i ruoli si equivalgono poiché lo scopo ultimo non è garantire l’esistenza di chi sembra esserne a capo, bensì, garantire la stessa esistenza. E il sistema non è il capitalismo, ma la vita stessa.
Importante focalizzare bene questo discernimento, onde non fraintenderne il significato recondito, in quanto siamo abituati a leggere saggi o romanzi dove l’esaltazione della figura del lavoratore viene messa in contrasto con quella di chi, tale lavoratore, lo sfrutta per trarne vantaggi finanziari. In Cosmopolis non ci sono buoni o cattivi, non è in corso nessuna guerra tra la forze del bene e quelle del male, il ricco è necessario al povero tanto quanto il povero è necessario al ricco e, anche se sembrerebbe il contrario, nessuno dei due opera per annientare l’altro (visto che senza i due estremi il sistema non potrebbe reggersi in piedi) ma solo per perpetrare, nell’infinito, all’infinito, lo scopo ultimo della macchina: protrarsi senza sosta. E il denaro è solo uno dei tanti, tantissimi, elementi attraverso i quali l’esistenza continua a riaffermarsi continuamente sotto forme sempre diverse e, allo stesso tempo, identiche.
Eric Packer è un elemento del tutto; ognuno di noi, in un modo o nell’altro, finisce per esserlo.
De Lillo ci racconta tutto questo con una storia dai tratti surreali e grotteschi, un mosaico complicatissimo dove ognuno ricopre il proprio ruolo, incastrato alla perfezione nel suo personale quadratino dell’intricatissimo puzzle. Alternando situazioni quasi comiche a momenti strazianti nella loro crudezza, Cosmopolis si lascia leggere tutto d’un fiato. Breve nelle sue circa centottanta pagine, eppure pieno di tutto quello che avrebbe dovuto e potuto dire al punto che pensarlo con una parola in più o una in meno sarebbe blasfemo.