CONFESSIONS – Nakashima Tetsuya
Dopo la menzione tra i migliori film stranieri agli Oscar 2011, le “confessioni” di Nakashima Tetsuya giungono (meglio tardi che mai, Bel Paese!) in pochi cinema italiani presentandosi senza dubbio come la novità più interessante del mese.
L’autore di Kamikaze Girls e Memories Of Matsuko adatta il romanzo di Kanae Minato realizzando una di quelle opere che non avrebbero neppure bisogno di sistematiche e minuziose analisi per assurgere allo status di capolavoro, da quanto riescono a colpire cuore e testa di chiunque osservi lo schermo; Confessions è un lavoro maturo, intarsio di atrocità e poesia al servizio di un eccezionale racconto vendicativo. Quello di Yuko Moriguchi (Takako Matsu), insegnante in una classe del primo anno delle superiori che decide di abbandonare la cattedra in seguito ad un evento oscuro che la segna in maniera indelebile, la tragica morte della figlioletta, ritrovata annegata nella piscina della scuola.
Nonostante la polizia abbia archiviato l’accaduto come fortuito incidente, Moriguchi è convinta che si tratti di omicidio e, attraverso indagini da detective sopraffina, risale con sicurezza ai colpevoli. Questi ultimi, appena prima che la donna abbandoni definitivamente l’istituto, riceveranno la prima, letale lezione di vita – e di morte – rimanendo invischiati nella trama di una ragnatela di vendetta che li perseguiterà più a lungo di quanto possano immaginare.
La vendetta, tematica prediletta del cinema orientale, ha raramente conosciuto migliori teorizzazioni. Distante dalla rabbia primitiva di Chan-wook Park (altro superlativo caso di asian revenge) e della sua trilogia, ma carico di superiore sensibilità, il piano della protagonista Moriguchi si rivela come un puzzle, pezzo dopo pezzo, imprevedibilmente articolato e spietato. Il gioco narrativo intavolato dal regista lo svela gradualmente, atto dopo atto, ognuno corrispondente alla “confessione” di uno dei personaggi coinvolti nella vicenda.
Loro incarnano diversi modi di interpretare e dare voce al dolore, alla perdita, alla disperazione: dal modo glaciale e composto di Moriguchi al maturo sadismo di chi ha dirimpetto, seduto ad un banco di scuola. Passando per l’effetto di annientamento psicofisico nel piccolo Naoki (Kaoru Fujiwara), figura “di mezzo” fra vittime e carnefici del violento scenario dipinto dal regista. La sua narrazione è un prodigioso mix di nobiltà drammatica e sanguinario accanimento consigliato ad ogni amante del cinema, un racconto che fa stare sul bordo della poltrona con gli occhi spalancati, nonostante le dolci e cullanti musiche che vanno a comporre la bellissima soundtrack (su tutte, l’ipnotica “Last Flowers” dei Radiohead).
Se il racconto colpisce forte al cuore, sul piano tecnico Confessions riesce addirittura a fare di più raggiungendo livelli strabilianti di regia e, soprattutto, di fotografia: slow motion, inquadrature superlative e dettagli curati al limite del maniacale, ogni schizzo di sangue che irrompe nella monocromia oscura delle divise scolastiche, ogni nube tenebrosa, ogni goccia di pioggia o di pianto sono amplificati da una gestione registica di rara bellezza; altrettanto vivide sono le interpretazioni dei giovani attori, che riversano generosamente nei rispettivi personaggi tutte le emozioni che hanno a disposizione.
Il cerchio infuocato di Confessions si chiude in un finale disperatamente toccante, seppure un po’ prolisso, in cui non c’è spazio per retorica o gratificazioni: la vendetta conduce alla distruzione, alla compromissione di qualsivoglia serenità d’animo. Non c’è pace per chi ha scelto quella via, né per chi il male l’ha commesso per primo. Confessions è una storia cupa e solenne, ruvida nei contenuti e maledettamente armoniosa nella forma, contraddittoriamente artistica. Come il fatto che una bolla di sapone, che si posa e scoppia delicatamente all’orecchio di uno dei protagonisti, diventi l’assordante “rumore della perdita di una cosa importante”.